Recensioni
06 Gennaio 2017
Emma Cline, “Le ragazze”, traduzione italiana di M. Testa, Einaudi, Torino, 334 pagine, euro 18
“Le ragazze” è il caso editoriale dell’anno. Legittimo, dunque, temere che il primo libro della ventisettenne Emma Cline potesse essere uno di quei bluff a cui l’industria della letteratura ci ha spesso abituato negli ultimi decenni. Fin dalle prime pagine, invece, ci si accorge di avere tra le mani un’opera che lascerà il segno. La scrittura è di certo scorrevole, schietta, a limite del commerciale ma la Cline dimostra una maturità sorprendente e una capacità di attirare il lettore non comune.
Il romanzo racconta le vicende di un’adolescente che nel 1969 è pian piano coinvolta nelle attività di una setta gestita da un ambiguo guru. Il rimando, non nascosto, anzi esplicito, è a Charles Manson e al massacro di Cielo Drive. In realtà, il libro può per molti aspetti considerasi un “diario a posteriori” della protagonista, Evie Boyd, che racconta il suo passaggio all’età adulta. Anche in questo caso il modello di riferimento, “Alice in the wonderland”, non è tenuto nascosto.
Evie, che durante il primo vero incontro con Suzanne è definita “la pensierosa”, si sente incompresa dal resto del mondo e, soprattutto, dalla sua famiglia di genitori divorziati. E se inizialmente trova nella scialba amicizia con Connie, anche lei figlia di “separati”, un flebile punto di riferimento, il suo equilibrio non avrà scampo quando l’amica deciderà di metterla alla porta. Inizia, così, un inesorabile percorso verso il baratro, dove sarà necessaria una carica di incredibile apatia (o forse di responsabile distacco?) innanzi a tutta una serie di esperienze che la porteranno a un traumatico “epilogo evitato”.
La protagonista vive infatti le sue esperienze come se non fosse lei, come se si guardasse dal di fuori, sebbene le cicatrici di quelle esperienze le lasceranno un segno profondo.
La labile stabilità raggiunta da adulta sarà un risultato arrivato quasi per caso o per merito di Suzanne, e comunque non il frutto della sua volontà, soggiogata e alla mercé del Manson/Richard. La Cline sembra suggerire un giudizio sullo stare al mondo dell’individuo, le cui azioni sono in balìa non tanto del Caso, ma di eventi privi di qualsiasi riconoscimento ontologico. Ma è anche una riflessione sulla fragilità di un periodo dell’esistenza importantissimo come l’adolescenza, nella quale ogni ragazzo o ragazza si sente “prima e più di tutto una cosa da giudicare” (p. 93), che, sebbene ambientata in gran parte nei non tanto favolosi anni Sessanta, si rivela efficace e molto attuale.
>Di Roberto Colonna