UNA STORIA CHE CONTINUA SAN CARLO: MUSICA PER L’ITALIA
15 Luglio 2017Dal Dopoguerra il Teatro ha un ruolo primario nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale
Non fu soltanto un fenomeno economico quello che nel secondo dopoguerra venne chiamato “Miracolo italiano”. Il nostro Paese seppe ricostruire città e fabbriche, ma anche recuperare una dignità nazionale attraverso la riaffermazione della propria cultura, della propria arte, riproponendola con orgoglio presso i Vincitori. Siamo tutti un po’ pigri nel rileggere la Storia e vale la pena di ricordare quali e quanti fossero i Paesi cui l’Italia aveva fatto guerra: il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, gli Stati Uniti d’America, l’Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, la Repubblica di Cina, la Francia, l’Australia, il Belgio, la Repubblica socialista sovietica di Bielorussia, il Brasile, il Canada, la Cecoslovacchia, l’Etiopia, la Grecia, l’India, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Polonia, la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, l’Unione del Sud Africa, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. E tutti insieme il 10 febbraio del 1947 a Parigi avevano imposto a noi sconfitti la firma di un Trattato di pace che Benedetto Croce, in un discorso al Parlamento chiamato a decretarne l’accettazione, così definì: “E’ non soltanto la notificazione di quanto il Vincitore, nella sua discrezione o indiscrezione chiede e prende da noi, ma un giudizio morale e politico sull’Italia e la pronuncia di un castigo che essa deve espiare per redimersi e innalzarsi e tornare a quella sfera superiore in cui credono di trovarsi solo i popoli vincitori”.
Una redenzione morale avviata ancora prima dal napoletano Teatro San Carlo, che gli stessi occupanti britannici – il teatro era stato requisito e rimesso in attività col nome di “San Carlo Opera House” – avevano quasi subito collegato via radio con la BBC e trasmesso nel Regno Unito le opere di Verdi, Puccini, Rossini e Donizetti che vi si rappresentavano. Il consenso raccolto dalla iniziativa ebbe un imprevedibile sviluppo: nell’ottobre del 1946 i complessi artistici del Teatro furono trasferiti a Londra per riaprire il Covent Garden, le cui mura erano state risparmiate dalle bombe lanciate sulla città anche dall’aviazione italiana, ma non coro e orchestra, dispersi dalla guerra e ridotti a pochi superstiti. Non fu una tournée di pochi titoli, ma una vera e propria stagione: Traviata, La Bohéme, Rigoletto,Tosca, Il Barbiere di Siviglia, Cavalleria Rusticana, Pagliacci, Madama Butterfly. Opere italiane ed artisti italiani, con una serie di sold out e di successi che i giornali riportarono senza che alcun riferimento a guerre vinte o perdute turbasse il sincero compiacimento di riascoltare la grande lirica italiana.
Trascorsero quattro anni, prima che La Scala percorresse la stessa via del San Carlo: fu nel 1950, con Otello e Falstaff diretti da Victor De Sabata. Ma il maggior successo l’ebbe con l’Elisir d’amore Franco Capuana, perché il pubblico aveva ritrovato in lui il direttore principale della indimenticata tournée sancarliana.
L’altra capitale culturalmente riconquistata dalla musica italiana, ancora una volta per il tramite del San Carlo, fu Parigi. Era il 1951 ed il Teatro di Napoli stava al pari con la Scala, benché il prestigio storico di questa avesse avuto nuovo impulso con il ritorno di Toscanini. Aveva una sua primadonna di portata internazionale, Renata Tebaldi, mentre il palcoscenico milanese ancora doveva trovare la sua, Maria Callas. Era un anno dedicato a Verdi a 50 anni dalla scomparsa, e il San Carlo fu scelto per celebrare il nostro massimo operista a Parigi. Per l’occasione, il maestro Francesco Siciliani, che iniziava giovanissimo da Napoli la sua carriera di direttore artistico, aveva programmato il recupero di un’opera desueta del primo Verdi, la Giovanna d’Arco, protagonista la Tebaldi da rappresentarsi al Palais Garnier insieme a Un Ballo in maschera, e la Messa da Requiem nella Chiesa della Madeleine, in cui anche avrebbe cantato la Tebaldi.
Fu un grande successo – che molto fastidio dette al management della Scala e al neo sindaco di Milano Virginio Ferrari, appena succeduto ad Antonio Greppi. De Gasperi, che guidava il suo sesto governo, era appena stato per la seconda volta negli Stati Uniti per l’incontro con Truman e in Canada per il Consiglio Atlantico di Ottawa. Suo segretario alla Presidenza del Consiglio era il trentaduenne Giulio Andreotti, che aveva delega allo spettacolo.
Un interessantissimo documento costituito dalla dettagliata relazione sull’esito della tournée e sui positivi riflessi sul mondo politico, culturale e sull’opinione pubblica francese, fu indirizzato dall’ambasciatore a Parigi Piero Quaroni al ministro degli Esteri Carlo Sforza e solo per conoscenza ad Andreotti. Scelta ineccepibile dal punto di vista formale, ma il Conte Sforza non era nel pieno delle attività, già ammalato avrebbe lasciato l’incarico e l’anno successivo sarebbe morto. E’ fuor di dubbio che la scelta del San Carlo fosse stata di Andreotti e che a questi, come si evince sin dalle prime righe, la relazione fosse sostanzialmente diretta. Il documento, pressoché inedito è custodito in copia nell’archivio personale, ora in possesso degli eredi, dello storico sovrintendente del Teatro Pasquale di Costanzo: “Il nome della Scala – principia la relazione dell’ambasciatore Quaroni – mi aveva fatto suggerire a codesto Ministero che a quel Teatro fosse affidato il compito di rialzare il prestigio dell’opera italiana a Parigi e di commemorare il cinquantesimo anniversario della morte di Verdi. E’ stato altrimenti deciso e l’esperimento è riuscito. Non ho che da rallegrarmene, sia con il San Carlo di Napoli, che ha riportato uno splendido successo, sia con le autorità di Stato che se ne sono assunte la responsabilità”.
Ed esauriti alcuni dettagli prosegue “La perfetta organizzazione tecnica e artistica del San Carlo ha veramente impressionato Parigi”. E più avanti: “I parigini hanno scoperto il segreto dell’efficienza di un complesso di uomini e di donne instancabili al lavoro, capaci di sbarcare da un treno e ripetere in due successive prove generali nel giro delle stesse 24 ore, le due opere da recitare con una passione capace di ignorare ogni regola sindacale”. Ed ancora: “Il successo delle cinque serate all’Opèra e alla Madeleine è da valutarsi non solo per gli articoli dei critici musicali, per le ovazioni del pubblico e per il parlarne che se n’è fatto, ma per la visibile gioia che ha procurato agli amatori del teatro lirico”.
Racconta poi come, a recite iniziate e dopo che alla prima aveva assistito la moglie di Vincent Auriol, lo stesso presidente della Repubblica Francese avesse deciso di assistere di persona a una rappresentazione. “L’invito al sindaco di Napoli Domenico Moscati, presidente dell’Ente Autonomo del San Carlo a prendere posto nel suo palco, l’accoglienza riservata agli artisti e agli organizzatori dell’Ente sfilati dinanzi a lui e alla consorte in un antract, l’interesse con il quale la coppia presidenziale ha seguito lo svolgimento di tutta la rappresentazione, hanno testimoniato l’intenzione del Presidente della Repubblica di manifestare vera riconoscenza per quello che è stato considerato in Francia un gesto di omaggio della cultura italiana alla cultura francese”.
Senza rifugiarsi nel lamentoso ricordo di “antichi splendori” troppo sovente e banalmente evocati per il nostro Teatro, la memoria di quanto espresso in un passato che meglio si collega all’attuale funzione di presidio della cultura musicale italiana, può servire da riferimento e da stimolo sia a chi lo governa che a chi lo sostiene.
> di Francesco Canessa