Gourmeet, assaggi fuori dai paraggi
30 Novembre 2017
Ho dovuto vincere l’idiosincrasia verso la pioggia battente di questo uggioso e umido fine novembre e la mia stanchezza per la prima “Cena d’Autore” organizzata dal bistrot Gourmeet di via Alabardieri con il Pastificio dei Campi di Gragnano. Non sono un presenzialista, anzi, per dirla con Bukowski, in certi giorni sono capace di passare accanto a 200 persone senza riuscire a vedere un solo essere umano.
Insomma, lo stato d’animo del mio incedere nel cuore di Chiaja non era dei migliori, e la tentazione di tornare sui miei passi era forte. Sia ben chiaro: a me il bistrot di via Alabardieri sta simpatico, è un’operazione riuscita, soprattutto nell’abbinare il brand “alto” di Conad (Sapori & Dintorni) con una molteplicità di declinazioni del gusto (bar, enoteca, cooking lab) che ne fanno un punto d’incontro per veri buongustai.
L’osteria – ma non la chiamiamo così, può sembrare riduttivo anche se l’approccio è “friendly” – è nel piano inferiore dell’ex Cinema Arlecchino (dove le mattinate della domenica, come ricorda il mio collega dirimpettaio, si andava a vedere Franco&Ciccio). La cucina è a vista, bella, pulita, diretta, senza trucco e senza inganno.
La nota stonata, proprio a volerne trovare una, è il chiacchiericcio amplificato, che ci mette involontariamente di fatti e misfatti della napolibene: caro Antonio Lucisano, manager del buongusto di lungo corso, tu che fai di tutto per mettere gli ospiti a loro agio, perché non prendi in considerazione l’istallazione di quattro pannelli fonoassorbenti? Le nostre orecchie ringrazierebbero a tutto vantaggio delle papille gustative.
Faccio slalom per raggiungere il desco, quando mi colpisce la sagoma, rassicurante, di Peppe Aversa, il suo gesto calmo, misurato, di chi conosce bene la materia con cui ha a che fare. Lo chef (ma lui vuole essere chiamato cuoco) stellato del Buco di Sorrento è protagonista, con la resident chef Antonella Rossi, di una “cena a quattro mani”.
Il primo atto è affidato a Peppe: sfogliatella ripiena di salsiccia e broccoli, accompagnata dalle bollicine di Folius di Cantine del Taburno. Poi si inizia sul serio: il primo duetto se lo giocano polpo di scoglio (fresco) e calamaro da lenza (croccante) in una composizione su salsa guacamole e pomodorino confit. Il vero acuto, nella sua straordinaria semplicità, arriva con le linguine di Pastificio dei Campi, con scorfano al limone salsa di bottarga e pomodorino secco. Pavarotti non avrebbe potuto far meglio.
Nemmeno il tempo di passare dalla Falanghina Sannio al Coda di Volpe, che inizia il secondo atto, protagonista Antonella Rossi. Avete presente quelle opere, come la Tosca, in cui tenore e soprano si danno il testimone tra le prime due parti? Ecco, per la Cena d’Autore è andata così, cambiando registro la qualità è rimasta inalterata. Soprattutto il fil rouge tra Peppe e Antonella, basato sull’estrema semplicità delle proposte: la Rossi punta sul baccalà al sesamo nero e mandorle tostate alla paprika, su letto di ceci di Cicerale. In chiusura una straordinaria mousse di cassata.
Due battute a conclusione di Peppe Aversa ci aiutano a entrare meglio nella sua dimensione (ma i suoi piatti, in questo, sono molto più eloquenti): il cuoco ci parla di appartenenza, di identità attraverso prodotti a km0, di pescato fresco, ingredienti di stagione tipici dell’entroterra campano e degli agrumi della Costiera. E capisco perché, a chi entra nel suo locale, lo accoglie con un “Benvenuto a casa!”. Questa è la cucina per ritrovarsi.
E la pioggia, uscendo in via Alabardieri, mi sembra più sopportabile…