Da Maurizio a Carletto, la “Grande Bellezza”
29 Giugno 2018
Tre motivi per rimpiangere Sarri, tre motivi per tifare Ancellotti
Il cambio della guida tecnica a Napoli ha fatto e fa rumore, per molti motivi. In primis, fa specie che il Napoli dopo un triennio così brillante si disfi di un allenatore, o forse sarebbe il caso di dire che l’allenatore si è voluto liberare dal Napoli, senza concludere il ciclo con un successo, lasciando l’opera incompiuta.
In secondo luogo, ha fatto impressione e colpito tutti la rapidità con cui si è mosso il Presidente Aurelio De Laurentiis a battere nuove strade, ingaggiando il più titolato allenatore del mondo disponibile sulla piazza internazionale, vale a dire quel Carletto Ancellotti che, partito con la fama di perdente, è poi diventato uno dei tecnici più titolati al mondo, facente parte di un esclusivo club di successo con Mourinho, Guardiola, recentemente Zidane, e pochi altri (Rafa Benitez, già passato sotto al Vesuvio, Capello, Lippi, storicamente Alex Ferguson), al punto che ha più titoli lui (20) di quanti ne abbia il Napoli nella sua storia quasi centenaria.
Eppure, nonostante l’arrivo del Sor Carletto sulle sponde partenopee rinfocoli l’entusiasmo dei tifosi che con lui pregustano finalmente vittorie importanti, i nostalgici di Sarri sono tanti, ed anche a giusta ragione. Per poi arrivare a trovarne alcuni o tanti, come me ad esempio, in cui si fonde in perfetta sintesi ed in par misura la tristezza e già la nostalgia per il gioco di Sarri con l’entusiasmo di vedere il prode Carletto dove ci possa portare, a lidi finora solo agognati, e da trent’anni quasi inesplorati.
Perciò ritengo, ecumenicamente, sia il caso di enucleare tre buoni motivi per rimpiangere il comandante Sarri, e tre buoni motivi per affidarci speranzosi al Carletto Nazionale, anzi internazionale.
Pro Sarri
LA GRANDE BELLEZZA
Come giustamente l’ha etichettato cinematograficamente lo stesso De Laurentiis, uno che di cinema se ne intende, il gioco che ha mostrato Sarri nella sua folgorante espressione si può definire la Grande Bellezza, e non solo per strizzare l’occhiolino a Jap Gambardella ed all’indolente Roma ponentina e capitolina, ma perché il gioco di Sarri è un ingranaggio perfetto, per distanze corte tra i reparti, per ampiezza e verticalità, per il pressing in avanti, per possesso palla ed inserimenti da dietro, palla-avanti-palla-dietro e terzo-uomo, un gioco che riempie gli occhi ed al tempo stesso è produttivo, visto che ha portato il suo Napoli a battere progressivamente tutti i record di punti fatti in campionato: prima 82, poi 86, infine ben 91, che normalmente valgono lo scudetto ma non quest’anno.
UN CICLO STORICO
Sarri, sin da subito paragonato a Vinicio, ‘O Lione rimasto per sempre nel cuore dei napoletani, ha firmato un ciclo storico che resterà nella storia di questa società e di questa città, che in questa squadra si è immedesimata, al punto da omaggiarla con canti e cori ad ogni fine partita, pure nel giorno della mancata vittoria, solo sfiorata. E’ vero, per i fautori dei “zero tituli” di mourinhana memoria, Sarri non ha vinto nulla, ma resterà nella mente e nel cuore di tutti noi, per decenni e decenni. Esattamente come il rivoluzionario predecessore napoletano-brasiliano, questo napoletano-toscano sarà uno di noi per sempre.
IL VICERE’
Ma Sarri, a ben vedere, non è stato solo un allenatore di calcio per la nostra città, per il popolo azzurro. E’ stato il comandante, il rivoluzionario, ha fatto nascere soviet sarristi di culto, ha incarnato lo spirito di un popolo, con la sua tuta, il suo vernacolese, il suo lamentarsi e controbattere praticamente da solo i Poteri Forti. “Difendi la città”, gli cantavano i tifosi, “Abbiamo un sogno nel cuore”, lo imploravano, e lui – gigante buono con la barba ispida – si lasciava scaldare il cuore e commuovere con pudore davanti alla stampa che tanto detesta e schiva.
Lui ha incarnato quel bisogno di Viceré che secoli di dominazione (o siamo noi ad avere dominato il Dominatore, accogliendolo e napoletanizzandolo?) hanno reso indispensabile per un popolo che ha bisogno di riferimenti, di eroi a cui appigliarsi, di Messia della Speranza, affinché anche da noi si possa emergere, vincere, fare bene, perché Napoli è una grande capitale europea e non solo un messaggio oleografico e stereotipato da far passare in tv tutto camorra e spazzatura. Sarri ha incarnato tutto questo, gli abbiamo consegnato le chiavi di questa città. Gli abbiamo voluto e gli vogliamo bene, per davvero.
Pro Ancelotti
IL GRANDE GESTORE
Come ho già avuto modo di dire, Carlo Ancelotti è una figura per qualche aspetto mitologica, un Giano Bifronte, raffigurante nella faccia bonaria dell’amante del culatello e del buon Lambrusco la lezione recepita dal grande Barone svedese Niels Liedholm, un furbo di tre cotte, gran coltivatore di vitigni e produttore di buoni rossi, che sapeva magistralmente gestire gruppi infuocati e difficili (si pensi alla “banda dei genovesi” rappresentata da Pruzzo e Nela contro il Divin Falcao, all’interno dello spogliatoio romanista) portandoli al successo, ed il migliore di tutti a stemperare le tensioni al punto che si diceva che nessuno sapesse “allenare la stampa” come il Barone viticultore. Ancelotti è degno figlio di cotanto padre, bravissimo nella gestione dello spogliatoio, essendo persona perbene, civile ed educato, per nulla ansioso, con una serenità interiore che sa trasmettere, e l’ironia ridanciana delle sue terre romagnole che spande, al punto da far esclamare un personaggio complicato come CR7 che Carletto è il migliore di tutti o a Lavezzi, caratterino niente male, che “solo con lui non sono riuscito a litigare”. A differenza di Sarri, attaccato all’inverosimile ai suoi pretoriani, lui sa sapientemente gestire ampi gruppi di giocatori importanti che ha avuto a disposizione, dal Chelsea al Real Madrid, dal PSG al Bayern Monaco, e trarre il meglio da loro senza dover rinunciare ad una vocazione europeista, tanto da essere l’uomo della Provvidenza della “Decima” tanto anelata dai tifosi del Real Madrid.
IL CARISMA
Ma Ancelotti non è solo quello bravo a gestire i gruppi. L’altra faccia è quella sacchiana, del dogma del 4-4-2 poi piegato pragmaticamente ai fini della gestione di successo, con duttilità e lucidità di lettura delle gare e degli avversari. Lui i gruppi che gestisce così bene li fa anche giocare bene, li sa mettere in campo, non ha paura a far giocare tutti insieme gente tecnica come Kakà, Seedorf e Pirlo, ad esempio. Sembrava un perdente nella sua nefasta esperienza juventina, ambiente con cui non si è mai preso (altra cosa che piace ai napoletani), invece successivamente ha dimostrato di saper vincere tutto, dal Milan in poi. Andato all’estero, con il suo bonario faccione romagnolo, tutti a dire: sarà un pesce fuor d’acqua, lo sbraneranno. Ed invece ha imparato a parlare correntemente l’inglese, il francese e lo spagnolo e non gli hanno dato il tempo di perfezionare pure il tedesco, al punto che oggi parla cinque lingue (oltre le tre menzionate, anche l’italiano ed il romagnolo), in attesa di imparare la più bella di tutte, il napoletano. Ad ottobre vedrete che si lancerà in un dialogo serrato con Lorenzino nostro in napoletano puro! Insomma, un uomo diventato carismatico, gran navigatore e navigato, come quando comandava a centrocampo a ritmi lenti e con le ginocchia bolse e martoriate, ma con la testa sveglia ed il calcio potente e pulito di chi è predestinato. Ed il suo carisma, sintesi perfetta di Liedholm e Sacchi che si avvicina alla reductio in unum di Capello, di cui però non ha la naturale antipatia e distacco, lo saprà esercitare pure con il Presidente, al quale saprà imporre qualche acquisto importante, perché scegliere lui significa ambizione di vittoria, e saprà attrarre giocatori sol con uno squillo di palmare.
LA FORTUNA
The last, but not the least, Carletto è un uomo fortunato, così come il suo Presidente. E per le Grandi Imprese ci vuole una Grande Fortuna. E lui ed Aurelione il Centurione sono uomini fortunati, lo dice la loro storia. Ricordate come a Reggio Emilia la sua prima esperienza di allenatore rischiò di bruciarsi nell’espace d’un matin? Lo stavano esonerando, ma vinse ad Avellino in maniera fragorosa (5—1) e non si fermò più. E quando batté la Juve a Manchester ai rigori, lo ricordate? La sola macchia fu la finale di Champions persa di rimonta con il Liverpool dopo un vantaggio per 3-0, da un altro Fortunato Doc come Benitez. Ma si è rifatto con gli interessi non solo prendendosi la rivincita con Pippo Inzaghi come grimaldello due anni dopo, ma saldando il conto alla sfortuna con gli interessi, vincendo la Decima col Real nel modo più rocambolesco possibile, con il gol di Sergio Ramos di testa, The Specialist, all’ultimo respiro. A Napoli siamo tutti scaramantici. Carletto non ha la gobba, ma di pacche sulle spalle ne avrà tante. Perché Carletto vuol dire successo, e la Dea bendata ed Eupalla con lui vanno a braccetto.
“Abbiamo un sogno nel cuore”, continuano a cantare i tifosi azzurri. Che il testimone passi dal Comandante al Sor Carletto affinché si realizzi. La vittoria allora avrà molti padri, ed unirà tutti nella festa. Da Maurizio a Carlo nel segno della Grande Bellezza: finora ci siamo stropicciati gli occhi, ora è il momento di gustare il successo. Con tutti i sensi all’erta.
> di Umberto Chiariello