Cosa è necessario fare per non spaccare l’Italia
02 Maggio 2019
Contro i rischi innescati dalle strategie separatiste occorre ridefinire i fabbisogni dei servizi pubblici.
Due Regioni italiane, la Lombardia e il Veneto, hanno installato una bomba sotto l’unità d’Italia. Se esplodesse, il Nord sarebbe libero di marciare per conto suo e il Sud, il Mezzogiorno, sprofonderebbe nella sua miseria secolare.
Il meccanismo che attiva la bomba, si chiama autonomia differenziata. In sintesi si vuole che i territori economicamente più forti, quelli del Settentrione, trattengano tutta o quasi tutta la ricchezza che producono, il risultato delle attività economiche locali, mentre le briciole che lo Stato raccoglierà della ricchezza residua, sarebbe distribuito ai cittadini residenti nel Mezzogiorno pagando gli stipendi ai dipendenti dei Comuni e qualche investimento in opere pubbliche. L’innesco della bomba separatista si chiama residuo scale di ogni territorio, vale a dire la somma che i cittadini residenti in quel territorio pagano allo Stato versando imposte e tasse, al netto della spesa pubblica che lo Stato sostiene per gestire uffici e servizi presenti in quel territorio.
Il residuo scale è una cifra attiva (col segno “più”) per i territori del Nord mentre è una cifra passiva (col segno “meno”) per i territori del Sud. Ad esempio, si stima che ogni anno per la Lombardia il residuo scale superi i 40 miliardi di euro, per il Veneto sia di 15 miliardi. Al contrario il residuo – scale della Campania sarebbe annualmente di -5 miliardi e nel caso della Sicilia sarebbe di -10 miliardi.
In altre parole, nelle Regioni del Nord lo Stato preleva dai cittadini più di quanto spende localmente, mentre nelle Regioni del Mezzogiorno accade il contrario: la spesa pubblica nel Sud è maggiore degli incassi scali che affluiscono alle amministrazioni pubbliche. Questo risultato non deve stupire, anzi è coerente con la situazione economica delle due grandi aree del nostro Paese e con le ragioni che sorreggono l’unità della nostra Nazione: dove si produce di più, il fisco incassa di più e dove c’è povertà il fisco incassa di meno e per la spesa dello Stato si verifica un risultato rovesciato: la spesa pubblica è più alta nelle Regioni povere per alleggerire con i servizi essenziali (la sanità, i trasporti, la sicurezza) le condizioni di vita dei cittadini, mentre è più bassa nelle Regioni ricche dove gli abitanti possono soddisfare di tasca propria gran parte dei bisogni.
Le Regioni ricche come Lombardia e Veneto (alle quali si è aggiunta l’Emilia-Romagna) pretendono con l’autonomia differenziata di strappare allo Stato una parte dei poteri d’intervento pubblico nella sanità, nell’istruzione, nelle politiche per il lavoro, dove vorrebbero sostituirsi ai ministeri spendendo di proprio conto gli incassi scali controllati da Roma.
E siccome la coperta del bilancio statale è stretta, quello che, eventualmente, le Regioni ricche spendessero di più sarebbe sottratto alle Regioni povere, cioé al Mezzogiorno.
Se non vogliamo che l’Italia si spacchi per sempre in due (quella ricca e quella povera), è necessario reimpostare l’autonomia differenziata.
Come? Occorre definire per ogni Regione i fabbisogni di servizi pubblici (sanità, scuola, lavoro) che lo Stato deve assicurare ad ogni cittadino e i costi standard di questi servizi. E così facendo si redistribuiranno i finanziamenti dello Stato ad ogni Regione in modo che un cittadino di Napoli ottenga gli stessi servizi che ottiene un milanese. Ciò non significa livellare le condizioni di vita degli italiani in qualunque località risiedono. Una volta assicurati a tutti gli italiani un livello minimo di servizi pubblici, poi ci sarà spazio per l’iniziativa, per l’inventiva, per la laboriosità di ogni comunità locale, per tutto ciò che farà la differenza nel benessere e nelle condizioni di vita degli italiani in qualunque Regione risiedano.
> di Mariano D’Antonio