Teatro contemporaneo, la fortuna di Napoli
23 Maggio 2019
Da Eduardo alle nuove leve della drammaturgia
I protagonisti del secolo d’oro della scena napoletana
Per una disamina del teatro napoletano contemporaneo non si può prescindere dalla figura di Eduardo De Filippo (1900 – 1984) drammaturgo di fama internazionale, che ha dato un’impronta nuova e codificata al teatro. Debutta a quattro anni nella compagnia del padre naturale Eduardo Scarpetta. Forma nel 1931 il famoso “Il teatro umoristico – I De Filippo” insieme ai fratelli Titina e Peppino. Durante questo periodo si attesta drammaturgo (è del 1931 la prima versione di “Natale in Casa Cupiello”). Nel frattempo l’equilibrio artistico ed umano dei tre fratelli si interrompe bruscamente per un dissidio tra Eduardo e Peppino che, nel 1944, lascia la compagnia per intraprendere la strada artistica e quella di commediografo. Accanto a Eduardo rimane Titina. La svolta avviene nel 1945: Eduardo scrive “Napoli Milionaria”, che viene rappresentato per la prima volta il 15 marzo del 1945 al Teatro di San Carlo; il conflitto bellico è appena terminato. La produzione eduardiana, che arriva fino al 1973 con l’ultima piéce “Gli esami non finiscono mai”, è vasta e documenta spesso la crisi della famiglia borghese e della società. Titina De Filippo (1898 – 1963), la primogenita, è annoverata tra le più grandi attrici del teatro napoletano del ‘900. Come i fratelli inizia la carriera ragazzina nella compagnia teatrale del padre-padrone Scarpetta, vestendo i panni del piccolo Peppiniello in “Miseria e Nobiltà”. Nella sua lunga carriera interpreta molti ruoli teatrali, cinematografici, partecipazioni televisive, scrive commedie, ma il ruolo che rimarrà nell’immaginario degli italiani è quello di “Filumena Marturano” (1946), che interpretò con un magistero artistico indimenticabile. Peppino De Filippo (1903 – 1980), debutta anche lui giovanissimo con Scarpetta, con il quale sarà sempre in disaccordo e aperta polemica tanto da scrivere anni dopo una famosa e corrosiva biografia, “Una famiglia difficile” (Marotta editore). Ha una carriera multiforme sia nel campo teatrale che nel varietà. Peppino si confermerà, oltre che commediografo, straordinario interprete teatrale di altri autori e interprete cinematografico di rilievo accanto a Totò.
Nel 1950 scompare Raffaele Viviani (nato nel 1888), drammaturgo e attore, che tanto ha dato al teatro napoletano in termini di realtà e modernità. Nasce a Castellammare di Stabia, il padre è un “vestiarista” teatrale ma in seguito diventa impresario. Dopo un
tracollo finanziario si trasferisce a Napoli con la moglie e i figli Raffaele e Luisella (quest’ultima apprezzata attrice teatrale), fondando alcuni teatrini popolari detti “Masaniello”. Questa è la prima scuola di apprendimento teatrale del giovanissimo Raffaele. La carriera di Viviani inizia nel rutilante e faticoso mondo della rivista, del circo, del teatro. Nascono i suoi “tipi”: dallo scugnizzo, allo scopatore, al guappo, personaggi ispirati alla vita del popolo. Viviani osserva la vita e la mette in scena, con un occhio attento alla miseria, alla fame, senza tralasciare l’ironia. Per la sorella Luisella scrive la famosa ballata “Bammenella ‘e coppe ‘e quartiere”. Durante uno spettacolo nel 1945 Viviani dà addio alle scene ma continua a lavorare alla stesura delle ultime pièces “Muratori” e “I Dieci Comandamenti”, che non riesce a mettere in scena.
Giuseppe Patroni Griffi (1921 – 2005), “Peppino” per i compagni di lavoro, lascia Napoli alla fine della guerra e si trasferisce a Roma dove inizia la carriera registica come aiuto di Luchino Visconti. Peppino Patroni Griffi è grande scrittore, drammaturgo e regista teatrale. La sua poetica racconta le alienazioni dell’uomo contemporaneo, confusioni, insicurezze, usando un linguaggio innovativo, trasgressivo. Le sue pièce sono pervase da tematiche spesso scottanti come il tema della “diversità”. Ricordiamo: “In memoria di una signora amica”, “Persone naturali e strafottenti”, “Metti una sera a cena”, ecc.
Patroni Griffi, inoltre, è uno degli scrittori più significativi della nostra epoca, con romanzi quali “La morte della bellezza” e “Scende giù per Toledo”. Come regista a lui va il merito della rivalutazione del teatro di Viviani, rileggendolo con un respiro europeo, brechtiano negli spettacoli “Napoli notte e giorno” e “Napoli chi resta e chi parte”.
Altro importante drammaturgo contemporaneo è Gennaro Pistilli, (1920), autore fuori dagli schemi che visse spesso all’estero, poiché poco apprezzato nel mondo teatrale. Con un linguaggio molto tagliente, innovativo per quegli anni, nel 1950 scrive “Notturno”, che vince il Premio Riccione ma la cui rappresentazione è censurata perché di argomento scabroso.
Gli anni tra il 1968 e l’inizio degli anni ’70 sono annunciatori di mutamenti totali che ribaltano il consueto modo di fare teatro. Una prima innovazione nasce in America, sul finire degli anni ’50, con il “Living Theatre” di Julian Beck e Judith Malina, che sostengono una quasi abolizione della parola scenica in favore dell’uso del corpo come vettore d’inquietudine e strumento di rappresentazione. Il rinnovamento passa in l’Europa con Tadeusz Kantor, Jerzy Grotowsky, Eugenio Barba ed arriva in Italia con le “nuove
spettacolarità”. Un convegno ad Ivrea (1967) sul “Nuovo Teatro” a cui parteciparono i maggiori critici teatrali italiani – Quadri, Bartolucci, Fadini, Capriolo, Moscati, Augias – inaugura un manifesto sulle linee programmatiche di un movimento che rivoluzionerà il teatro italiano. Nascono le cooperative teatrali, i “gruppi”, in nome di un teatro collettivo, dove il lavoro di ognuno diventa il prodotto di tutti, in parità. Si vanno affermando figure “simbolo” come Carmelo Bene o Leo De Berardinis, che con Perla Peragallo fonda il “Teatro di Marigliano”.
A Napoli l’avanguardia teatrale si concreta soprattutto nel rivisitare i grandi classici o gli autori moderni con allestimenti d’avanguardia. I “gruppi” scelgono luoghi diversi dai teatri canonici: “spazi” raccolti, spesso cantine, che ricordano un po’ le “cave” francesi degli esistenzialisti. Tra gli attori e i registi che hanno fatto l’avanguardia a Napoli: il regista Gennaro Vitiello con la sua compagnia “Libera Scena Ensemble” e il glorioso “Centro Teatro Esse”, dove si sono esibiti e hanno collaborato giovani che sarebbero diventati attori, scenografi, registi, scrittori e giornalisti di punta: Peppe Barra, Leopoldo Mastelloni, Lucio Allocca, Lina Sastri, Enzo Salomone, Renato Carpentieri, Odette Nicoletti, Mauro Carosi, Giulio Baffi, ecc.
Ancora Mario e Maria Luisa Santella, Ettore Massarese, Laura Angiulli, Rosario Crescenzi, Michele Del Grosso e il suo “Teatro Instabile”, Lucio Beffi e “Il Centro Teatro Dialogo” di Portici, Arturo Morfino e il “Play Studio”, dove si faceva anche tanta buona musica con i “cantautori”. Storia più recente è quella di “Teatri Uniti” (Mario Martone, Toni Servillo, Antonio Neiwiller). Tutti hanno contribuito a rinnovare il volto culturale di Napoli, connotando l’inizio di un periodo “eroico” dell’espressività teatrale napoletana.
Nel 1980 la drammaturgia napoletana registra un vento di novità di altissimo livello – legato ad una esigenza di “ricostruire” – chiamato “nuova drammaturgia” (termine usato dai critici per indicare il radicale cambiamento, il “dopo Eduardo”). Gli autori artefici sono: Annibale Ruccello, Enzo Moscato, Manlio Santanelli. A questi seguiranno: Franco Autiero, Francesco Silvestri, Ruggero Cappuccio, Fortunato Calvino. Questi metteranno in campo le loro poetiche teatrali, traendo spunti da una città che è sempre stata caratterizzata anche dal suo sommerso, da ciò che è nascosto, dal “buio” mondo di sotto. La drammaturgia di Manlio Santanelli, Annibale Ruccello, Enzo Moscato, i capofila di questo nuovo movimento, regala al teatro italiano testi indimenticabili come: “Uscita di emergenza”, “Ferdinando”, “Festa al celeste e nubile santuario”, solo per citare qualche
titolo.
Discorso a parte per Roberto De Simone, musicista, musicologo, antropologo, drammaturgo, “inventore” della Nuova Compagnia di Canto Popolare che nel 1976 al Festival dei due Mondi di Spoleto, presenta il suo capolavoro, “La Gatta Cenerentola”, tratta dal “Pentamerone” di Giovan Battista Basile, con Peppe Barra, Concetta Barra, Fausta Vetere, Giovanni Mauriello, Patrizio Trampetti, Isa Danieli, Virgilio Villani, Antonella Morea, Antonella D’Agostino. Lo spettacolo inaugura un nuovo modulo teatrale/musicale, frutto di ricerche antropologiche nel mondo contadino, di suggestione scenica e simbolica, con un linguaggio nuovo ed arcaico insieme, barocco e moderno, corrosivo e favolistico. Un esempio di contaminazione tra cultura “alta” e “bassa”, dove il mitico, il favolistico, il profondo della città, il “cunto”, si innerva nello studio della sua fenomenologia sia scritta che orale, insieme alla raffinata ricerca musicale.
Oggi la scena napoletana si avvale di autori come Roberto Russo e nuovi registi come Carlo Cerciello che, con gli allestimenti dei suoi spettacoli, continua una ricerca teatrale che supera le barriere del tradizionale.
> di Delia Morea