Umberto Eco aveva cominciato a frequentare presto Port’Alba, in quegli anni ‘60 in cui Mario Guida aveva portato la Saletta Rossa della sua libreria a diventare uno dei punti d’incontro, delle differenti intellighenzie, più importanti del paese. Ma fino alla fine dei suoi giorni, quando veniva a presentare un nuovo romanzo o a tenere una conferenza sull’estetica medievale, lo spirito indomabile da bibliofilo acribioso lo portava nelle librerie antiquarie del centro storico dove scovava vecchie edizioni in ogni lingua parlata e cinquecentine sui temi più disparati. Perché Napoli, più di altre città italiane e al pari di Parigi e di Amsterdam, è il paese di Cuccagna per i lettori compulsivi, per i collezionisti di prime edizioni, di titoli fuori catalogo, di codici antichi e di mano scritti autografi. Da tempo però la cantilena sul tempo che passa e spazza via le buone tradizioni, dagli artigiani e dalle botteghe alimentari, si è estesa alle librerie indipendenti irrimediabilmente rimpiazzate dalla grande distribuzione.
Per verificare la giustezza di queste geremiadi c’è uno strumento prezioso: la Guida alle Librerie di Napoli che Gaetano Colonnese, editore, libraio e raffinato bibliofilo, pubblicò oltre vent’anni fa a firma di Massimo Gatta e Carlo Raso. Prezioso per più d’una ragione. La prima è una frase icastica che lo stesso Colonnese scrive nelle brillanti note introduttive: “Ogni libreria che chiude diventa un varco per i barbari. E ogni libreria che apre sbarra loro la strada”. La seconda è che rappresenta un censimento in grado di fotografare la situazione napoletana al 1997, anno della sua pubblicazione: centodieci librerie, divise in dodici itinerari relativi ad altrettante aree della città, che spaziavano dal Supermarket del Fumetto alle librerie specializzate giuridiche e per ragazzi. Oggi quella guida appare indubbiamente una spoon river della diffusione del libro in quanto la stragrande maggioranza di quegli avamposti è sparita: ultima, in ordine di tempo, quella di Paolo Pisanti al corso Umberto. La scomparsa progressiva delle tante librerie Guida è stata la più lacerante delle ferite: per la storia antichissima, per la sconfitta della hýbris di Mario Guida che ha voluto sognare un impero librario alternativo alle grandi catene, per il tramonto di un luogo, la libreria storica di Port’Alba, che ha visto da Ungaretti a Pasolini, da Moravia a De Sica, da Roland Barthes a Jack Kerouac alternarsi in discussioni a volte polemiche, a volte divertenti, sempre interessantissime. Non erano, quelle, delle dozzinali presentazioni di libri anche perché spesso non erano incontri che si tenevano in concomitanza con l’uscita di un volume: erano testimonianze di fede che servivano ad avvicinare lettori e autori in una prossemica ravvicinata. A pochi passi da lì la libreria Berisio si è tramutata in un piacevolissimo wine bar con musica dal vivo di qualità e una suggestiva tappezzeria di libri antichi. Colonnese accanto al Conservatorio, tempio delle edizioni introvabili dedicate all’esoterismo, ai tarocchi, alla storia napoletana e ai gatti, è da tempo stata trasformata in una rivendita di souvenir più che di edizioni ricercate. E l’elenco potrebbe continuare per intere pagine. Ma se lo struggimento prende alla gola è l’ironia a correre in soccorso: qualche tempo fa passeggiava, proprio nel centro storico, un ragazzo con una maglietta su cui c’era scritto “Non importa se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto: quello che conta è che ci sia dentro del buon vino”.
E allora per assaggiare vino di qualità bisogna fare capolino da Nunzio Pironti dove da anni lavora l’ultimo dei librai della vecchia generazione: quel don Antonio Auriemma che ai tempi in cui lavorava da Guida era soprannominato “Coppi” per la velocità fulminea con cui andava a prendere in deposito un testo che mancava tra gli scaffali. Memoria di ferro sui clienti, sui loro interessi e le loro passioni, don Antonio è in grado di ricordare a distanza di anni un titolo che cercavate in quella specifica edizione. E accanto a un vecchio libraio la freschezza e l’entusiasmo di un ragazzo come Giancarlo Di Maio che, con la foto del suo nume tutelare Lawrence Ferlinghetti sulla cassa, nel 2011 ha aperto Dante & Descartes a piazza del Gesù. E quando si è prospettata l’ipotesi di uno sfratto da quel locale, ha fatto partire un crowdfunding originale: i soldi versati venivano restituiti in libri a scelta del sottoscrittore. Alla fine con l’aiuto di tanti Giancarlo ha potuto acquistare le mura della sua libreria. E sbarrare così la strada ai barbari.