Rosaria De Cicco: La Forza dell’Ironia
24 Luglio 2019
Qualunque cosa nasce dalla sofferenza: “dalla mia parte – spiega Rosaria De Cicco – posso contare sulla consapevolezza e su una grande ironia. Affronto la vita utilizzando la sofferenza come crescita, ma con una buona dose di ironia”. Attrice quasi per caso, per sua stessa ammissione, i primi passi sul palcoscenico Rosaria li ha fatti col teatro amatoriale. Poi i premi, i riconoscimenti e l’inizio di un percorso che l’ha vista diretta, tra gli altri, da registi come Sorrentino, Özpetek, Dionisio e Capuano. Rosaria De Cicco ha carattere, è immediata. Difficile non entrare in empatia con lei, dentro e fuori scena, anche attraverso i suoi personaggi, profondi, con un sorriso – a volte amaro – che è la chiave di accesso all’anima.
Ma è vero che non voleva fare l’attrice?
È stato un percorso, all’inizio, del tutto involontario: dopo le prime esperienze teatrali con gli amici, sono arrivati i premi, i primi riconoscimenti. E da lì ho capito che potevo iniziare un percorso professionale. Ma non so se, potendo tornare indietro, lo rifarei.
Non le fa piacere essere etichettata come “co- mica”…
Non amo le etichette poi, ripeto, credo di avere una buona dose di ironia che mi serve, in generale, per affrontare la vita. Poi, per dirla tutta, la storia del cinema e del teatro ci ha insegnato che tutti i comici possono essere attori drammatici. Il contrario è da vedere.
Ha avuto maestri nel mondo dello spettacolo?
Di maestri veri e propri ne ho avuti pochi, ma molte persone da cui ho rubato, imparato il mestiere. Uno per tutti è Renzo Arbore, che mi è sempre piaciuto molto per l’ironia con cui affronta la vita e per la grande capacità di interpretazione
Si sente più a suo agio sul palcoscenico o in un set cinematografico?
In teatro, senza ombra di dubbio. Il cinema e la televisione servono, se fatti bene ti insegnano tanto, ma sono molto più noiosi.
Qual è il valore del teatro per un artista?
Metto in cima ai valori interpretativi il senso di rispetto verso chi ti ascolta e ti guarda, una sensazione che scatena adrenalina. La parte che mi interessa di meno sono proprio gli applausi. Sono mossa, dal gusto di farlo: il piacere mi mette a mio agio.
Ha interpretato uno dei due volti di Napoli in “Voce ‘e Sirena” di Sandro Dionisio…
È una di quelle interpretazioni che ti rimangono dentro. Abbiamo fatto quel film subito dopo l’incendio di Città della Scienza, una profonda ferita per la città, un momento di grande dolore. E in momenti come questo le due anime della città, quella borghese e quella popolare, che non sono poi così distanti, potrebbero ritrovarsi. Napoli è contraddittoria, ma contiene in sé tutte le anime, popolare e colta: dal popolo nasce una cultura millenaria e dall’intellettuale puoi scoprire la semplicità. Altrimenti non sei un intellettuale, sei uno snob e Napoli di certo non lo è. È semplicemente la città del troppo, degli eccessi, ma dove tutto viene compensato.
Cosa porta al Napoli Teatro Festival?
“L’anno del pensiero magico” di Joan Didion, per la regia di Enrico Maria Lamanna. Anche questo un testo nato da un dolore, dove lutto e sogno si sovrappongono. È una bella sfida: sono sola in scena e devo confrontarmi con chi l’ha interpretato in passato, da Fanny Ardant a Vanessa Redgrave. Non mi piacciono le sfide, ma ho la necessità di raccontare l’accettazione della morte e il dolore con tutte le sfaccettature di cui sono capace.
Il teatro e la cultura possono salvare Napoli?
Oggi il teatro a Napoli riesce ad esprimere ancora qualcosa di bello: l’arte e, la cultura tengono in vita la città. Riusciremo a salvarla solo lavorando per il bene comune e non coltivando il proprio orticello. Per fare questo, dobbiamo avere la coscienza a po- sto e assumerci le nostre responsabilità.
> di Francesco Bellofatto