Rubrica A Bordo Campo: Bilancio di fine stagione
29 Luglio 2019
Un’altra stagione calcistica è alle spalle, col suo carico di considerazioni, analisi e verdetti. È stata certamente non esaltante e questo per il costante, perdurante squilibrio tra la compagine che per l’ottava volta di seguito si è cucita addosso lo scudetto tricolore e tutte le altre. Il problema grave è che tale squilibrio risultava evidente sin dalle primissime battute, se non dal momento della conclusione del calcio mercato, ovvero non appena fu chiaro che il roster della squadra bianconera, capeggiato da CR7, non poteva avere rivali seri e che, quindi, la competizione ci sarebbe stata solo per le altre tre piazze “Champions” e per quelle da assegnare per l’Europa League.
Non si può certo affermare che la squadra azzurra non abbia – sin da subito – innescato le marce alte, non facendo rimpiangere più di tanto la gestione tecnica precedente, quella che il “comandante” Sarri aveva timbrato con un gioco spettacolare (rimasto nella memoria di tutti), che aveva fruttato la bellezza di 91 punti, per quanto non sufficienti per contendere davvero fino alla fine la vittoria dello scorso campionato, quello sì davvero gettato al vento.
Un girone Champions – quello della stagione 2018/2019 – difficilissimo, nel quale – pur con la presenza del Napoli in seconda fascia (… peraltro conservata anche per il 2019/2020, grazie al Siviglia), ci si è dovuti imbattere nelle furie “red” del Liverpool, per tacere dei campioni transalpini del Paris St. Germain, capitanati da Cavani, Neymar e Mbappé. Gare, quelle disputate con avversari di questa levatura, che hanno fatto sperare nel famoso salto in avanti degli azzurri e per poco così non è stato, se solo il centravanti polacco Milik non avesse sciupato – da favorevolissima posizione – il tap in su Allison a pochi istanti dalla conclusione del match di ritorno, peraltro riconosciuto come il miglior numero 1 del mondo.
Diverso e più modesto è risultato essere, viceversa, il cammino in Europa League, dove avversari sulla carta più abbordabili (specie ai primi turni), facevano pensare ad un impegno alla portata reale degli azzurri, ma – evidentemente – non erano stati fatti bene i conti con la compagine londinese dell’Arsenal, sicuramente non superiore al Napoli, ma di certo più abituata ai ritmi di battaglia tipici della Premier, che fa della fisicità, oltre che della tecnica individuale, l’arma vincente.
Decisamente deludente, se non scandaloso, il cammino in Tim Cup, con un doppio confronto con il Milan, assolutamente alla portata, che – viceversa – ne ha sancito la prematura uscita, proprio in una stagione nella quale – dopo quattro edizioni consecutive – la Juventus, per mano della sorprendente Atalanta, era stata buttata fuori. La vittoria finale della Lazio, ai danni dei bergamaschi, ribadisce proprio questo: almeno il torneo nazionale minore era ampiamente alla portata del Napoli. Grandissimo rimpianto quindi, come onestamente riconosciuto dal tecnico di Reggiolo, certamente il primo a restare incredulo di fronte ad un’inattesa ed ingloriosa defaillance.
Ma la stagione ha anche ribadito che il Napoli ha consolidato alla grande, almeno, la seconda posizione nel torneo di serie A, alle spalle della corazzata juventina (a sua volta ingloriosamente e prematuramente uscita di scena dalla massima manifestazione europea), riducendo il distacco imbarazzante presente a metà aprile (probabilmente anche grazie ad un abbassamento della guardia degli juventini), e – soprattutto – delineando una profonda spaccatura rispetto alle inseguitrici (Atalanta, Inter, Milan, Roma, Lazio), costrette – fino all’ultima giornata – a contendersi l’ultima piazza utile per non certificare come fallimentare la loro deludente, se non sciagurata stagione.
La forte contestazione scoppiata nei confronti del patron della Società deve indurre a riflettere, una volta per tutte, su quello che deve – in concreto – essere il ruolo del Napoli nel panorama nazionale (ed internazionale, ove risulta esser presente ininterrottamente da dieci stagioni), ovvero se limitarsi a galleggiare sempre fra le prime posizioni, così garantendosi l’obiettivo minimo (che poi neanche tanto minimo è) della qualificazione Champions, oppure fare definitiva chiarezza, dichiarando senza se e senza ma, che davvero il Napoli vuole competere per il tricolore. In tal caso una campagna di rafforzamento seria dovrà inevitabilmente passare attraverso l’ingaggio di giocatori forti, dal chiaro atletismo, abbinato ad una tecnica superiore, capaci di fare concretamente la differenza, lasciando viceversa al loro destino quei giocatori dell’attuale rosa dimostratisi non all’altezza (su tutti Diawara, Ounas, Hysaj, Mario Rui e forse Rog).
Sarà – quella 2019/2020 – la seconda stagione di Ancelotti, ovvero quella nella quale tutti noi ci aspettiamo non solo che la sua autorevolezza incida fortemente sulle scelte di mercato, ma anche – e soprattutto – sull’identità di squadra, producendo gioco (e magari spettacolo) funzionali al raggiungimento di quegli obiettivi ormai assenti da troppi anni, rispetto ai quali di sicuro la torcida azzurra tornerà a riempire festante il restaurato catino di Fuorigrotta.
> di Antonio Di Luna