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Campi Flegrei: nella terra del Mito.

  07 Novembre 2019

In un tratto di costa dove crateri naturali si coniugano alla perfezione con sorgenti termali, beni archeologici, miti e leggende sorgono i Campi Flegrei. Dal greco flegraios “ardente”, questa terra si estende dalla collina di Posillipo fino a Monte di Procida, con le isole di Ischia e Procida, gli isolotti di Vivara e Nisida ed i quartieri di Agnano e Fuorigrotta. Ed è qui che una natura dalla sorprendente mutevolezza si fonde con antiche rovine, città sommerse e parchi archeologici.

LA GROTTA DI SEIANO

La Grotta di Seiano, nel Parco Archeologico del Pausilypon,  è una galleria realizzata nel 31 a. C. su progetto dell’architetto Lucio Cocceio. Questo tunnel, lungo 780 metri, attraversa la collina tufacea di Posillipo e, passando per Baia Trentaremi, collega Bagnoli con il Vallone della Gaiola. Il passaggio fu voluto da Marco Vipsanio Agrippa, ma deve il suo nome al prefetto  Lucio Elio Seiano che allargò la galleria per collegare la villa di Publio Vedio Pollione e le altre ville patrizie di Pausilypon ai porti di Puteoli e Cumae. Nel corso dei secoli la grotta cadde in disuso e fu completamente abbandonata, fino a quando, nel 1841, tornò ad essere agibile per volere di Ferdinando II di Borbone. Per rendere il traforo percorribile in sicurezza, le volte originarie furono supportate con 77 archi in tufo, intervento che ha permesso di conservare fino ai giorni nostri l’opus reticulatum originario.  Il proprietario della Villa di Pollione era un uomo crudele e dedito ai vizi, ma molto devoto all’Imperatore Augusto, al punto da lasciargli in eredità proprio la villa. Al suo interno, che da Augusto in poi assunse il nome di Pausylipon, sono visitabili il Tempio ed il Ninfeo, caratterizzati da pavimenti in mosaico ed in marmo.  Nel Parco del Pausylipon ritroviamo i resti di un teatro romano da 2.000 posti, costruito sfruttando il naturale declivio della collina, e, nella porzione retrostante, un Odeion, una “cavea” più piccola utilizzata per poesia e musica. Durante la Seconda Guerra Mondiale la Grotta fu utilizzata come rifugio antiaereo. Nel 2009 il passaggio è stato riaperto  come accesso al Parco Archeologico del Pausilypon. Al termine del tratto al chiuso si apre agli occhi un panorama mozzafiato a strapiombo sul mare con vista sulla Gaiola e sul “Palazzo degli Spiriti”, un edificio attorno a cui ruotano molte leggende partenopee.

AGNANO

Nato dal collasso di una struttura vulcanica, in seguito ad un’eruzione avvenuta più di 4.000 anni fa, Agnano deve la sua notorietà alla vocazione termale le cui testimonianze risalgono al IV-III sec. a.C.. Tra queste, la “Grotta del Cane”: all’epoca del Grand Tour era consuetudine condurre piccoli animali nella grotta, costringendoli a respirare l’anidride carbonica che ristagnava sul fondo fin quasi a farli morire, per poi rianimarli immergendoli nelle fredde acque del vicino lago.  Sebbene il termalismo flegreo sia di origine greca, soltanto in epoca romana fiorì la vera e propria attività termale in tutti i Campi Flegrei. Alle pendici del Monte Spina sorgono le rovine di un imponente stabilimento del periodo di Adriano (117-138 d.C.). Il complesso si sviluppava su sette livelli ed aveva ambienti riscaldati dal calore naturale che fuoriusciva dal fianco del monte. Nel suo interno furono ritrovate statue di età romana, della prima metà del II sec. d.C.: Afrodite armata e Ganimede erano in origine situate nelle nicchie intorno alla piscina maggiore, Hermes con Dioniso bambino e Venere marina erano invece collocate lungo il frigidarium. A cavallo tra il X e XI sec. d.C. il cratere di Agnano divenne un bacino di raccolta delle acque piovane, fino a diventare un vero e proprio lago. La piana dove in origine sorgeva lo stabilimento termale romano fu sommersa e le acque del lago assunsero una natura melmosa. Nel 1451, Alfonso I d’Aragona adibì il luogo alla macerazione della canapa, liberando così Napoli (zona del Ponte della Maddalena) dai maleodoranti acquitrini. Successivamente però il problema dei miasmi si ripropose nell’area flegrea, l’attività di macerazione fu abolita. Nel 1861 fu approvato il decreto per il prosciugamento del Lago di Agnano, spostando l’attività di macerazione della canapa alla foce dei Regi Lagni. La bonifica ebbe però un effetto secondario del tutto imprevisto: furono riportate alla luce decine di sorgenti termali ancora pienamente attive. Verso la fine del 1800, un gruppo di imprenditori decise di riqualificare l’area investendo nella rinascita delle Terme. I lavori furono affidati all’architetto Giulio Ulisse Arata e all’ingegnere Gioacchino Luigi Mellucci, noto per le innovazioni nell’uso del cemento armato. Il risultato fu un felice connubio tra stile liberty e funzionalità strutturale. Le Terme conobbero il loro periodo di maggior fortuna nei primi anni venti del ‘900. Purtroppo, nel corso della Seconda Guerra Mondiale il complesso fu utilizzato come ostello dei soldati americani, fino ad arrivare agli anni ’60 quando la maggior parte delle strutture liberty furono sostituite con edifici ispirati al brutalismo edilizio. Nel 2011 le Terme di Agnano hanno visto un profondo restyling: la porzione archeologica e le sopravvissute costruzioni del primo Novecento sono state inserite in un centro termale, il Parco del Benessere, un’area di 44 ettari dove antichi rituali l’occhio alla concezione moderna del wellness.

POZZUOLI

Pozzuoli è una delle città più antiche d’Italia, fondata nel 529 a.C. da alcuni esiliati provenienti dall’isola greca di Samo, che le diedero il nome di dicearchia, cioè “città del giusto governo”.  Sotto la dominazione romana (a partire dal 190 a.C.)  acquisì il nome di Puteoli in riferimento alla presenza di numerose sorgenti di acqua termo minerale. In origine Pozzuoli non era altro che lo scalo commerciale della colonia greca di Cuma, Successivamente divenne tra i più importanti porti del Mediterraneo per il commercio del grano, tant’è che fu collegata tramite una rete stradale all’Urbe e alle città più importanti della Campania. Il suo prestigio era però destinato a finire, nel 70 d.C. con l’apertura del porto di Ostia. Durante l’età augustea Pozzuoli fu abbellita con mirabili opere architettoniche. L’Anfiteatro Flavio rappresenta una straordinaria opera di ingegneria: terza arena romana per dimensioni dopo quelle di Roma e Capua, era collocata al crocevia tra le strade provenienti da Napoli, Capua e Cuma. Con i suoi 40.000 posti, l’anfiteatro era anche luogo di culto e sede di associazioni professionali. Nell’arena si svolsero i primi martirii cristiani. Proprio qui leggenda vuole che nel 305 d.C. sia stato preparato il supplizio per San Gennaro, salvo poi eseguire di fatto la condanna nella Solfatara. Nell’antica zona portuale ritroviamo il “Tempio di Serapide”, così chiamato perché qui fu trovata una statua della divinità egizia, oggi esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. In realtà questo non era un luogo di culto ma un macellum, un mercato di generi alimentari. Un particolare della struttura è rappresentato da tre colonne in marmo cipollino, le cui fasce nei secoli sono state erose dai litodomi, molluschi marini che scavano la loro tana nella pietra, evidenziando così il fenomeno del bradisismo a cui Pozzuoli è da sempre legata. Tale fenomeno, con il graduale sprofondamento del litorale, costrinse i puteolani nel 500 d.C. ad abbandonare la parte bassa della città e a stabilirsi nell’antica acropoli greca (l’attuale Rione Terra), che fu attorniata da mura divenendo il castro puteolano. Nel XV secolo, dopo ben tre terremoti i puteolani chiesero ai sovrani d’Aragona di potersi stabilire nuovamente fuori dalle mura. Nacque così nel 1511 un borgo costituito da piccole case di pescatori.  Nelle prime ore del 30 settembre del 1538 Pozzuoli fu colpita da un nuovo evento sismico, dovuto ad un’eruzione improvvisa, con la distruzione del villaggio di Tripergole e la formazione della collinetta si Monte Nuovo, oggi oasi naturalistica i cui sentieri sono noti per le vedute mozzafiato. Per via dei ripetuti terremoti gli abitanti di Pozzuoli presero a trasferirsi a Napoli. Il vicerè Don Pedro de Toledo tentò di frenare lo spopolamento esentando i puteolani dalle tasse e scegliendo appunto Pozzuoli come luogo preferito per la costruzione dei suoi palazzi.  Sul finire del 1800, con l’industrializzazione e l’apertura dei cantieri sulla costa, il Rione Terra finì per diventare una zona periferica. Nel 1964 si sviluppò un incendio nel Duomo che sancì il definitivo abbandono del Rione, soprattutto per le sue precarie condizioni igieniche. Dopo molti interventi di restauro, il Rione Terra e il percorso d’epoca romana sottostante sono oggi visitabili. I lavori di recupero hanno consentito di riportare alla luce un grande tempio di età augustea, progettato dall’architetto Lucio Cocceio Aucto e successivamente inglobato nella Cattedrale di San Procolo Martire, patrono di Pozzuoli. La maggior parte del materiale riportato alla luce è esposta al Museo Archeologico dei Campi Flegrei nel Castello di Baia.

IL LAGO D’AVERNO

Il lago d’Averno, noto anche come “Cannito” per via dei canneti lungo le sue sponde, è uno specchio d’acqua  all’interno di un cratere vulcanico nato da una violenta eruzione circa 4000 anni fa. Il nome Avernus deriva dal greco άορνος (aornos) ed etimologicamente significa “senza uccelli”, per via del fatto che un tempo i volatili, sorvolando la voragine, morivano soffocati dalle sue esalazioni sulfuree. A dispetto del nome, il Lago è oggi oasi naturalistica e luogo prescelto da diverse specie di uccelli per la nidificazione. Molte sono le leggende legate all’Averno: secondo la mitologia greca qui Giove combatté contro i Titani. Nel I secolo a.C. i romani disboscarono la selva che, per via del suo aspetto funereo, il poeta Virgilio, seguito poi nel tempo da Dante, Torquato Tasso e Leopardi, aveva indicato come “porta degli inferi”. La fitta vegetazione lasciò quindi il posto alla porzione posteriore del “Portus Julius” dislocato sul lago di Lucrino ed ora nascosto alla vista dal bradisismo. Nel 39 a.C. la sponda occidentale dell’Averno fu collegata al lago di Lucrino mediante la “Grotta di Cocceio”, un traforo militare scavato nel tufo che attraversa il Monte Grillo. La larghezza del traforo consentiva il passaggio di due carri ed attingeva luce ed aria da sei pozzi lunghi circa trenta metri, creando un suggestivo effetto di luci e di ombre sull’opus reticulatum. Dopo secoli di abbandono, il percorso fu reso nuovamente agibile dai Borbone e durante la Seconda Guerra Mondiale fu utilizzato come deposito di esplosivi.

CUMA

 “L’immenso fianco della rupe Euboica s’apre in un antro dove si può entrare per cento larghi accessi, per cento porte, donde erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla”. Così Virgilio nell’Eneide consacra ai posteri Cuma ed il suo oracolo, la Sibilla Cumana che, secondo il mito, svelò ad Enea le sue sorti future. Cuma può essere di fatto considerata la prima città greca in Italia, essendo stata fondata dai Calcidesi nel 730 a.C. col nome di Κүμή “onda”. Oltre al primitivo insediamento sull’acropoli, la popolazione cominciò ad occupare anche la parte bassa e fu allora che Cuma divenne un importante porto. Occupata dai romani Intorno al 330 a.C. nel corso dei secoli Cuma perse prestigio e con la fine dell’Impero Romano d’Occidente cadde prima sotto il dominio bizantino poi longobardo. In seguito rientrò nei possedimenti dei Duchi di Napoli i quali ebbero un bel da fare nel combattere i Saraceni, tant’è che questi ultimi ebbero la meglio insediandosi proprio nell’acropoli cumana e seminando il panico lungo l’intero golfo di Napoli. Fu solo nel 1207 che i partenopei riuscirono a stanare i Mori, anche se ormai la gran parte della popolazione si era spostata a Giugliano. Ancora visibili sono i resti del Tempio dei Giganti, del Foro, delle antiche terme e di una ben conservata necropoli. Visitabile è anche la Crypta Romana, una galleria di collegamento tra il Portus Julius, dove si trovava la flotta di Augusto, e l’Acropoli. La fama di Cuma resta però legata all’antro della Sibilla, un vestibolo posto al termine di una galleria, costruita con funzione sia difensiva che di raccolta d’acqua, posta in parallelo sotto il tempio di Apollo sull’acropoli. Leggenda vuole che la Sibilla, giovane e bella fanciulla greca, percorresse questa galleria per bagnarsi nell’acqua delle cisterne in cui era presente il dio Apollo. Così, dopo esser stata posseduta dalla divinità,  acquistava il dono della profezia e soleva emettere i suoi vaticini che per un effetto di eco venivano amplificati lungo l’intero corridoio. Non essendo la sacerdotessa immortale, col passare degli anni invecchiò fino a quando il suo corpo si consunse. Apollo ne salvò però la voce chiudendola in una gabbietta posta nell’antro in modo tale che gli avventori potessero continuare ad ascoltare i suoi vaticini.

MISENO

Secondo Virgilio il nome del promontorio di Miseno deriva dal fatto che qui fu sepolto il trombettiere di Enea, morto annegato in una sfida contro Tritone. Oggi luogo di movida e di balneazione, un tempo Miseno fu il più importante porto del Mediterraneo, sede della flotta dell’impero romano, la Classis Praetoria Misenensis, guidata da Plinio il Vecchio e totalmente fedele all’Imperatore Augusto. L’importanza del sito decadde con la fine dell’Impero romano d’Occidente e la cittadina si spopolò per via dei ripetuti attacchi saraceni che costrinsero gli abitanti a spostarsi sulla non lontana isola di Procida. Tantissime sono le tracce del periodo augusteo giunte ai giorni nostri: le più ragguardevoli sono il Sacello degli Augustali e la Piscina Mirabilis. Non è difficile immaginare l’espressione di stupore che riempì il viso del proprietario del terreno da cui nel febbraio del 1968, in seguito ai primi lavori per la realizzazione di due villette private, sbucarono strutture appartenenti ad un edificio di età imperiale. Gli scavi, grazie ad un’iscrizione, identificarono il sito nel Sacello degli Augustali, luogo adibito ai riti di culto officiati dai Sodales Augustales, i “Sacerdoti di Augusto”. Il Sacello fu distrutto da un terremoto nel II sec. d.C.. Attualmente è parzialmente sommerso dal bradisismo.
Il santuario è costituito da tre ambienti affiancati, con un tempietto. Nell’ambiente a sinistra fu rinvenuta la statua equestre in bronzo di Domiziano-Nerva, ora esposta al Museo Archeologico dei Campi Flegrei.  In epoca romana furono costruiti numerosi acquedotti come il Fontis Augustei Aquaeductum, che portava acqua dal Serino a Bauli (l’odierna Bacoli). Il punto di convoglio era la grandiosa cisterna “Piscina Mirabilis”. A pianta rettangolare e completamente scavata nel tufo, la cisterna è suddivisa in 5 navate lunghe e 13 corte ed è ricoperta da una volta a botte sorretta da 48 pilastri a sezione cruciforme, il che le conferisce quasi un’aria da cattedrale sotterranea. I rivestimenti interni sono in opus signinum, una miscela impermeabile di calce e polvere di laterizi che nel tempo, complice l’umidità e la formazione di muschi, ha assunto una suggestiva iridescenza.

BAIA

In una piccola insenatura tra Punta Lanterna e Punta Epitaffio sorge Baia. Tradizione vuole che il nome sia stato dato da Ulisse in onore di uno dei suoi compagni, Baio, scomparso proprio in queste acque. In epoca romana Baia divenne la località balneare scelta dall’aristocrazia che vi costruì sfarzose ville disposte a gradoni sul pendio affacciato sul mare. Via terra è possibile ammirare solo la parte collinare dell’antico insediamento. L’antica Baia giace sotto 5-10 metri di acque turchesi. Tra gli edifici sotto il livello del mare degno di pregio è il Ninfeo dell’imperatore Claudio. Ritrovato nel 1956, fu riportato alla luce insieme alle sue numerose statue, oggi sostituite con delle copie di pregevole fattura. Di forma rettangolare e dalle pareti finemente mosaicate, la costruzione fungeva da triclinio, cioè da sala da pranzo la cui particolarità risiedeva nel fatto che i cibi venivano serviti su piatti galleggianti sull’acqua che circondava la piattaforma, in modo tale che ai commensali sembrasse di mangiare sospesi tra le onde, immersi nei riflessi dei mosaici.  Appena fuori il Ninfeo ritroviamo le terme e la Via Herculanea che conduce al Lacus Baianus, dove sono visibili i resti della Villa a Protiro e della Villa dei Pisoni. All’apice della collina sorge il Castello Aragonese, sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei. Nelle sue fondamenta sono state ritrovate tracce di strutture romane, il che fa supporre sia stato edificato sulla preesistente “Villa dei Cesari”. Il primo impianto post romano risale al 1490, quando, per ordine di re Alfonso II d’Aragona, fu costruita una fortezza per difendere la costa flegrea dalle incursioni saracene. Dal 1993 è sede del Museo dei Campi Flegrei.

> di Aurora Rennella

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