Il Maschio Angioino come non lo avete mai visto
18 Aprile 2020
Prigioni, necropoli e resti di una villa romana:
alla scoperta di uno dei manieri più suggestivi di Napoli
Da più di settecento anni si affaccia sul golfo della nostra città; proprio come i suoi abitanti che, affezionatisi, gli hanno anche dato un soprannome. Stiamo parlando di Castel Nuovo, ribattezzato dal popolo napoletano come “Maschio Angioino”. Un nome più che adatto per l’imponente struttura dato che la parola “mastio” (o maschio) designava le torri principali dei castelli. Ed è proprio considerando che ce ne sono ben cinque che ci si aspetterebbe di trovare solide fondamenta rocciose, capaci di reggere secoli di storia oltre che tonnellate di basalto, tufo e marmo. Eppure non è così: sotto Castel Nuovo, si nasconde ben altro.
Gli scavi, iniziati nel ’99, hanno riportato alla luce un’enorme quantità di reperti. La zona, infatti, era abitata già da molto prima che vi si stabilissero gli Angioini e ha ospitato nel corso dei secoli persone di ogni ceto sociale e culturale. La costruzione più antica a oggi rinvenuta è una villa romana del I secolo a.C.. Vi si può accedere attraversando una porticina nascosta che separa l’area del castello aperta al pubblico da quella riservata al personale autorizzato. A questo punto, scesa una piccola rampa di scale ci si ritrova dinanzi a una cisterna. A prima vista il luogo sembra quasi non avere alcuna importanza (essendo circondato semplicemente da pareti in mattoni) ma un particolare, unico nel suo genere, ha suscitato grande interesse da parte degli studiosi. Infatti, nella parte più bassa, è possibile distinguere una stratificazione rocciosa di origine vulcanica, formatasi in seguito alle eruzioni dei Campi Flegrei e a quella pliniana del Vesuvio.
Proseguendo si accede a quello che un tempo era un vero e proprio impianto termale. Muoversi attraverso secoli di storia non è affatto semplice: in men che non si dica, infatti, ci si ritrova schiacciati tra il pavimento romano e quello vitreo (realizzato per consentire ai visitatori di osservare il sito dall’alto). Lunghi tubi in pietra percorrono ancora oggi il tragitto compiuto dall’acqua per giungere nelle vasche mentre dei piccoli pozzi collegano alla “superfice” quella che un tempo doveva essere una sorgente. Proprio in quel luogo, durante i primi scavi, furono rinvenuti alcuni resti umani: una scoperta che confermò l’ipotesi secondo cui nel Medioevo la zona venne adibita alla sepoltura.
Una pratica che perdurò fino al 1279, quando il re Carlo I d’Angiò volle erigere la fortezza proprio in quel luogo, seppellendo (forse inconsapevolmente) un enorme patrimonio storico-culturale. Eppure non tutto il sottosuolo rimase inutilizzato, anzi, è proprio nelle segrete che un enorme coccodrillo si intrufolava per divorare i prigionieri! Non si sa con certezza come l’animale sia giunto fino alle porte di Napoli. Fatto sta che divenne un vero e proprio impiegato della corte reale, “incaricato” dell’esecuzione dei condannati a morte.
A pochi metri dalla botola che conduceva alla cosiddetta “prigione del coccodrillo” c’è poi un’altra piccola stanza, anch’essa avvolta nel mistero: la fossa dei baroni. Si crede infatti che le ossa ivi presenti appartengano agli aristocratici ribellatisi contro il governo borbonico nella seconda metà del 1400. Purtroppo per loro le cose non andarono come sperato e, dopo vari scontri, gli ultimi esponenti rimasti furono uccisi proprio in quella stanza. Ad attrarli in quel luogo fu l’invito alle nozze della nipote di Ferrante d’Aragona. In realtà si trattava di una trappola organizzata dal sovrano: i Baroni, infatti, furono subito arrestati e uccisi. Nessuna iscrizione, affresco o documento conferma tuttavia l’appartenenza delle ossa ai condannati. Ciò che accadde ai loro corpi è dunque un mistero; o almeno continuerà ad esserlo finché nuovi scavi non riporteranno alla luce altri reperti.
di Andrea Grillo