NAPOLI VAMPIRA: Gli infiniti volti di Partenope
21 Aprile 2020
Un nuovo, incredibile mistero ha trovato posto di recente nello scrigno dei segreti di Napoli: i resti mortali del conte Vlad III di Valacchia, vissuto nel Quattrocento, sarebbero nascosti in una tomba del complesso monumentale di Santa Maria la Nova.
Vlad è passato alla storia con due spaventosi appellativi. Il primo è Tepes (“Impalatore”): aveva l’orrida abitudine, il sanguinario conte, di far morire i nemici catturati in battaglia infilzandoli con un palo. Il secondo, non meno raccapricciante, è Dracula, che ha due significati: “figlio del diavolo” e “figlio del drago”; Vlad, infatti, apparteneva all’Ordo Draconis, fondato per difendere il Sacro Romano Impero dalle incursioni ottomane.
Sarebbero stati gli Aragonesi a condurre a Napoli, per salvarli dalla persecuzione turca, il conte Vlad e la sua figlia illegittima Maria Balsha. Sul finire del XV secolo, Maria andò in sposa al nobile Giacomo Alfonso Ferrillo, con cui visse tra Napoli e il paesino lucano di Acerenza.
Nel chiostro di Santa Maria la Nova, strani simboli e oscure iscrizioni presenti su un antico monumento funerario della famiglia Ferrillo dimostrerebbero, secondo alcuni studiosi, che Vlad Tepes sia sepolto proprio lì, nel più totale anonimato, protetto dal buio come si conviene a chi, come lui, gode di un’altra sinistra fama: quella di essere un vampiro, una creatura demoniaca che si nutre del sangue delle sue vittime.
Si tratta di un’ipotesi, certo, nient’altro che di un’ipotesi, e sarà il tempo a stabilire se essa abbia un fondamento di verità o se, al contrario, sia del tutto strampalata. Molti elementi, però, lasciano intuire che l’enigma non troverà mai una soluzione.
Fa comunque riflettere la singolare coincidenza: fra tutte le possibili mete salvifiche, Dracula avrebbe trovato riparo proprio a Napoli. Come mai? Perché la città partenopea e non Madrid o Praga o Vienna?
Inutile andare alla ricerca di spiegazioni storiche: non ve ne sono. La risposta sta da un’altra parte, ai confini con l’arcano: Napoli è, nel bene e nel male, una città vampira, assetata di sangue, di vita, di passioni, di continue metamorfosi. Da sempre.
Nel corso della sua storia, Napoli ha vampirizzato, e per certi versi cannibalizzato, tutti i popoli che hanno occupato il suo territorio. Dapprima li ha fatti adagiare e rilassare, affinché si illudessero di poter esercitare il potere senza impedimenti; lentamente, poi, una goccia dopo l’altra, si è cibata della loro linfa vitale, assimilandone i costumi, le lingue, le credenze, le virtù, persino i difetti. Questo processo ciclico ha dato alla città un corpo speciale, unico al mondo, composto di organi di diversa origine: Napoli ha un cervello greco, un cuore spagnolo, una muscolatura normanna, occhi francesi, mani angioine, un fegato svevo, polmoni borbonici.
Napoli è vampira perché è la “città dei sangui”. Urbs sanguinum: così la definì, dopo averla visitata nel 1632, lo scrittore Jean-Jacques Bouchard nell’opera “Voyage dans le Royaume de Naples”. Bouchard rimase scioccato dalla presenza, in molti monasteri, conventi, chiese e palazzi nobiliari napoletani, di un numero esagerato di ampolle e fiale contenenti il sangue di decine e decine di martiri, santi e persone pie.
Napoli, smaniosa di affetto e protezione, ha ben cinquantadue compatroni. Sì, avete letto bene: cinquantadue; un record mondiale. E Napoli esige che il sangue versato dai suoi protettori – in particolare quello di san Gennaro, che passa dallo stato solido allo stato liquido tre volte all’anno, e quello di santa Patrizia, che si scioglie ogni settimana – non resti rappreso troppo a lungo, ma circoli nelle arterie della città per darle energia e forza e per difenderla da catastrofi e sciagure.
Napoli è vampira perché fa squaglià ’o sanghe dint’ ’e vvene.
A Napoli ’a carne fa carne, ’o vino dà sanghe e ’a fatica fa jittà ’o sanghe.
A Napoli ce facimme ’o sanghe amaro, e se ci arrabbiamo ce saglie ’o sanghe ’ncapa.
A Napoli dobbiamo stare alla larga dai cattivi, ca ce scommano ’e sanghe, e dagli sfruttatori, ca ce zucano ’o sanghe. E dobbiamo fare gli scongiuri contro chi lancia maledizioni come «’O sanghe ’e che t’è bbivo!» e «’O sanghe ’e chi t’è mmuorto!». Se invece ci sentiamo dire «Me faje sanghe», non dobbiamo preoccuparci: abbiamo ricevuto un bel complimento.
Napoli è vampira perché il suo sottosuolo è gonfio di sangue rovente; un sangue magmatico, ingovernabile, devastante, che arriva dagli abissi della Terra e che nel passato ha fatto scatenare il Vesuvio e i vulcani dei Campi Flegrei.
Napoli è vampira perché i suoi defunti – i defunti delle sue cripte e delle sue catacombe, dei suoi cimiteri e dei suoi ipogei – sono “non morti”: si risvegliano ogni volta che li invochiamo o che preghiamo per le loro anime, ogni volta che li invitiamo a parlarci o che chiediamo loro un aiuto, un conforto. A Napoli i morti sono più vivi che mai.
Napoli è una città di sole e splendori, ma anche di luna e di tenebre, e nell’oscurità, come fanno i vampiri, rivela tante sue irresistibili fascinazioni.
Napoli è una vamp desiderosa di lusinghe, elogi, adulazioni. E noi, suoi umili narratori, non saremo mai tanto bravi – sanghe d’ ’a culonna! – da saper raccontare in modo esauriente gli infiniti volti con cui si mostra al mondo.
> di Pino Imperatore, scrittore e giornalista