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Rafael Benitez e Maurizio Sarri: la svolta del “nuovo” Napoli

  28 Aprile 2016

Ieri, oggi e domani della direzione della squadra azzurra

Diciamoci la verità: quanti di noi pensavano – agli albori della stagione 2015/2016 – che il cambio alla guida tecnica degli azzurri producesse risultati così apprezzabili?

Beh, è doveroso fare un passo indietro e riflettere sulla gestione del tecnico madrilista Rafael Benitez, seduto in panca nelle due annate precedenti.

Il suo ingaggio, da parte del patron De Laurentis, aveva generato un’ondata irrefrenabile di entusiasmo che, da sola, riuscì – cosa per nulla facile e scontata – a placare la cocente delusione per l’irrinunciabile cessione del bomber Cavani, dalla cui vendita è stato possibile finanziare una campagna estiva di rafforzamento.

La storia ci racconta di una prima stagione condotta a ottimi livelli, sulla scia di un secondo posto raggiunto l’anno precedente da Mazzarri, che aveva portato in dote la possibilità di disputare, dopo tanti anni, una competizione internazionale di primissimo livello come la Champions. E così, grazie alla formazione guidata dal suo successore, si è riusciti – pur uscendo subito di scena – a inanellare un totale di punti mai raggiunto fino a quel momento da alcuna squadra, avendo la meglio su formazioni dal blasone altissimo e disputando una serie di prestazioni ancora molto vive nei ricordi dei supporter azzurri, che in quella squadra si riconoscevano pienamente, tanto da raggiungere la piena esaltazione con la vittoria (seppur bagnata dal sangue per la tragica uccisione del tifoso Ciro Esposito) della Coppa Italia all’Olimpico di Roma.

Non altrettanto esaltante si può definire la seconda (ed ultima) stagione di don Rafè, per quanto le premesse sembrassero di segno opposto, per la vittoria della Supercoppa di Lega contro la rivale storica Juventus. L’evoluzione di quella stagione narra di un disperdersi inesorabile di un patrimonio che sembrava potesse valorizzarsi ai massimi livelli, veicolando il gruppo al raggiungimento di traguardi perduti nel tempo.

La squadra, invece, ha inanellato una serie di prestazioni altalenanti, frutto anche di una situazione apparentemente non chiara fra la guida tecnica e la proprietà. Posto che Benitez – come poi è emerso dai resoconti dei media – aveva già deciso, al termine del primo anno, di lasciare la conduzione del Napoli, costretto a rimanervi solo perché De Laurentis aveva voluto esercitare l’opzione per il secondo anno, come da clausola contrattuale.

Tale scelta, col senno di poi, si è dimostrata infelice, tanto da trascinare la squadra in un finale di stagione da incubo, con un Higuain demotivato e mentalmente lontano dal “progetto Napoli”, a quel punto evaporato, fallito.

Ma ecco la felicissima intuizione del presidente De Laurentis con l’ingaggio dell’uomo di Figline Valdarno, originario del quartiere Bagnoli di Napoli.

Ne è nata, negli ambienti partenopei e non, uno scetticismo di fondo, motivato dal repentino cambiamento di rotta della proprietà, passato da scenari internazionali ad un apparente salto nel buio. Ma il carisma di un uomo non discende, necessariamente, dal suo palmare. Il carisma è qualcosa che si costruisce, anche e soprattutto, sui campi di periferia, in terra battuta, dove s’insegna calcio a giovani squattrinati che difficilmente assurgono agli onori della cronaca. Ed è proprio in questo contesto che si è formata l’esperienza del 57enne Sarri, capace di instaurare con i giocatori, Higuain in testa, un rapporto speciale, perché fondato sulla lealtà e sulla fiducia.

Tutto questo, dopo lo scorrere di una fetta di stagione che ha visto la squadra azzurra calcare tutti i campi di serie A, ha certificato la grandezza indiscussa dell’idea di calcio proposta dall’uomo in tuta.

Si discute oggi della sua capacità di fare “squadra”, di far sentire i calciatori come gli unici “protagonisti” di una stagione brillante. Si discuterà anche del suo, forse, eccessivo integralismo, della sua poca duttilità a variare gli schemi di gioco in corso d’opera. Ma è indiscutibile che il “nuovo” Napoli di questa stagione ha trovato il suo principale alfiere proprio del fumantino tecnico toscano, che le cose proprio non le manda mai a dire, con buona pace dei cultori del bon ton e delle esternazioni di facciata.

di Antonio di Luna

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