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Tra un ciak e l’altro confessioni di Maurizio de Giovanni

  19 Giugno 2016

Dall’amore per la propria città a quella per la letteratura e il calcio, l’autore napoletano racconta il fil rouge che anima la sua scrittura: la passione

Il profilo di Maurizio de Giovanni è quello di un appassionato a tutto tondo, ama la letteratura e venera il pallone. L’amore per il calcio Napoli è qualcosa che prescinde da qualsiasi logica. Attendendo con trepidazione la pubblicazione dell’ultimo lavoro, abbiamo avuto il piacere di intervistarlo. Tra un ciak e l’altro, perché intanto, proseguono le riprese per la fiction RAI “I bastardi di Pizzofalcone”, una nuova serie, per la regia di Carlo Carlei, tratta dai romanzi dello scrittore “Bastardi di Pizzofalcone, Buio e Gelo”, che vede nei panni del protagonista il commissario Lojacono, l’attore Alessandro Gassmann. La messa in onda è prevista per il prossimo autunno.

Maurizio de Giovanni, si è definito in qualche occasione come un anziano giovane scrittore. Cos’è per lei scrivere e quando ha iniziato a farlo per professione?
Il mio rapporto con la scrittura è iniziato davvero molto tardi. Sono innanzitutto un lettore, molto appassionato. Svolgevo un altro lavoro e non avrei mai pensato di poter scrivere, né tanto meno di poter scrivere per vivere. Alcuni amici mi iscrissero ad un concorso di scrittura, rivolto a giallisti esordienti. Lo vinsi. Allora, avevo già quarantotto anni. C’è stata un’evoluzione strana.

Non ho fatto gavetta, non ho un cassetto pieno di racconti e romanzi come molti miei colleghi, non ho mai dovuto inviare manoscritti a case editrici sperando in una pubblicazione. Ho sempre scritto su richiesta, ogni volta che mi fosse stata offerta l’opportunità di scrivere. Credo di essere stato molto fortunato.
La scrittura è un elemento nuovo nella mia vita, non così fondamentale.

Scrittore sì, ma anche letterato accanito. Quali sono le sue influenze letterarie?
Sono appassionato della letteratura latinoamericana del Novecento. E Napoli ha qualche affinità col Sud America. Le due culture sono vicine per molti versi. C’è poi la narrativa nordamericana, i grandi autori del mistery, per non parlare della fantascienza. Credo sia molto interessante avvicinare al reale il fantastico. Credo che la letteratura contemporanea italiana abbia grandissime firme, soprattutto quella nera che vive un momento estremamente fecondo.

Quando è scattata la scintilla. Come nasce il commissario Luigi Alfredo Ricciardi?
Ricciardi nasce per caso. Mi trovavo all’interno del Caffè Gambrinus. Ero intento a scrivere quando una bambina si avvicinò. Faceva delle smorfie ma nessuno se ne accorgeva. Immaginai un personaggio che potesse vedere quello che gli altri non vedevano. Pensai di collocarlo negli anni Trenta. Il Gambrinus ha uno stile liberty. In questo modo nacque il commissario Ricciardi.

I suoi romanzi sono ambientati a Napoli. Perché qui e non in altre città?
Credo che un uomo debba scrivere dei luoghi che conosce. Non credo che si debba scrivere dei luoghi che non si conoscono bene. Sono fortemente connesso con la mia città e la mia scrittura è fortemente basata sulla città.

Dunque, qual è l’anima della città descritta da de Giovanni?
Napoli, come qualunque altra metropoli, ha moltissime anime. Ogni anima è un punto di vista. Ed il punto di vista è proprio delle persone. Credo che Napoli abbia innanzitutto una profonda umanità. Con la mia scrittura guardo ad una città disperata ma bellissima, miserabile e piena di forze, molte delle quali ignorate, subacquee.

Con lei a Napoli, Carlotto nel nordest, Pandiani a Torino, De Cataldo a Roma, Carrisi in Puglia, Camilleri in Sicilia, è possibile parlare di una scuola?
Credo che ci sia un movimento letterario, una scuola forse no. Siamo tutti quanti molto diversi. Sicuramente c’è un forte movimento, con una grande territorialità.

Si parla di omicidi. Cosa si prova a raccontare la morte, seppure letteraria?
Il racconto nero parla essenzialmente di un’indelebile ferita sociale, dell’omicidio. Descrivere un delitto ed i suoi effetti, le sue cause è tutt’altro che semplice. Si tratta di mettersi di fronte alla parte oscura della propria anima. Sono convinto del fatto che sia un giusto lavoro da svolgere. Credo che così come la giustizia sia tesa a trovare un colpevole, così come la cronaca sia tesa a raccontare i fatti, la letteratura debba analizzare il perché.

Dalla morte passiamo alla vita e alla bellezza dell’amore. Il suo più grande è per il calcio Napoli, non è così?
Si, sono molto tifoso. Confesso questa mia colpa. Sono profondamente tifoso, voglio continuare ad esserlo e sarò sempre felice di esserlo. Penso che Napoli s’identifichi molto con la propria squadra, una grande città il cui corso è simile a quello della propria squadra, tra grandi vittorie e grandi periodi di Medioevo. Napoli e “il Napoli” si conoscono. Amare Napoli ed amare la sua squadra sono un’ovvia conseguenza.

Intanto, procede il lavoro per un’ultima fatica letteraria
Sto scrivendo il prossimo romanzo del commissario Ricciardi, dal titolo “Serenata senza nome”. È un romanzo ambientato in un piovoso ottobre del 1932. L’uscita è prevista per gli inizi di luglio.

> di Danilo Capone

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