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AVITABILE: METTO IN MUSICA LE NOSTRE RADICI COMUNI

  08 Luglio 2017

“Il sound per fare dialogare i popoli”. Doppio David di Donatello per il soul man napoletano.

Le radici ben salde alla terra d’origine, luoghi da raccontare in cui le storie degli ultimi diventano poesia, avamposti da cui partire per incontrare altri uomini che, con suoni diversi parlano la tua stessa lingua: nascono così gli incroci, gli intrecci che costellano la carriera di Enzo Avitabile, soul man napoletano di Marianella che, da anni con la sua arte, si fa portavoce di Napoli nel mondo, rifuggendo l’oleografia dell’ovvio, in una dimensione in cui la spiritualità parla in dialetto e non vorresti mai smettere di ascoltare tutto il fiume in piena che quella musica ha da raccontare, perché dentro ogni suono si cela una storia, un incontro, un tuffo nelle tradizioni dei nostri avi, con un linguaggio inedito, capace di parlare faccia a faccia con il presente.

Le tue radici, il dialetto, la devozione popolare, il Sud e poi le accoglienze dei suoni del mondo, la contaminazione, intesa come apertura di confini, in musica come nella vita. Nella tua musica c’è tutto questo…

È tutto molto collegato. Non c’è contaminazione senza coscienza della propria identità. Sono napoletano, devo essere cosciente di tutto ciò che mi appartiene. Prima c’è questa presa di coscienza, poi c’è il matrimonio tra le conoscenze, tra i popoli, tra le tue tradizioni e l’incontro con altre realtà. La cultura “mondo” trascende se stessa, non si riesce mai ad estrapolare, puoi fonderti e non analizzarla. Mi fondo con le altre culture o anche con il cammino ed il pensiero di altri uomini. La fusione con altri microcosmi ti porta a degli incroci che secondo la logica non sarebbero stati possibili, mentre si sono realizzati grazie alla magia dell’arte, penso ad esempio alla mia collaborazione con Guccini o De Gregori. Tutto parte dalla coscienza di provenire da un luogo o dalla non coscienza di dove stai andando. Nello stesso modo c’è l’approccio con il passato. L’artista incrocia i mondi del passato con la percezione che c’è tanto passato nel futuro e tanto futuro nel passato, provando a dare forme alle cose che non hanno forma. Sembrano giochi di parole, in realtà raccontano un metodo. Facciamo l’esempio del mottetto, forma ormai in disuso, quando vuoi recuperarla, ti rendi conto che man mano che la vivi in una realtà urbana, stai cambiando la sua forma originale e la riproponi con una nuova forma espressiva adatta a raccontare il contemporaneo, così la rendi viva, attuale, capace di emozionare.

La tua vita nel documentario di Jonathan Demme, il regista premio Oscar scomparso recentemente. Con un intreccio di generi e linguaggi in “Enzo Avitabile Music Life” l’occhio di Demme esplora le strade di Marianella, fermandosi sull’incontro con tanti musicisti che hai chiamato da ogni parte del mondo. Questo docufilm è l’incontro tra due artisti, uno scambio reciproco tra chi osserva ed ascolta e chi si racconta. Come vi siete incontrati?

Mentre guidava a New York, Jonathan ha ascoltato per caso un mio brano alla radio, ha appuntato il mio nome. Due anni dopo era qui per il Napoli Film Festival, ci siamo incontrati e mi ha proposto di girare il docufilm.

Qual è stata la tua sensazione dopo aver visto la prima proiezione?

Ho fatto un film senza accorgermene! Ho raccontato luoghi immergendomi nei ricordi, in un gioco di un passato che diventa presente grazie alla musica, accogliendo proprio nei luoghi che mi appartengono musicisti da ogni parte del mondo, amici che hanno suonato con me davanti alla telecamera di Jonathan che è riuscito davvero ad entrare nella mia vita oltre che nella mia musica.

Che ricordo conservi di lui?

La sua grande umiltà, che non va confusa con la modestia. Aveva un grande rispetto nel toccare le cose a casa mia durante la lavorazione del docufim. E poi quell’arte nel suo modo unico di raccontare la realtà. È stato davvero un faro illuminante.

Sei stato protagonista del David di Donatello con la doppietta come miglior musicista e miglior canzone “Abbi pietà di noi”, composta per la colonna sonora di “Indivisibili” di Edoardo De Angelis. Due David di Donatello che hai dedicato a Napoli e alle periferie del mondo che hai definito la tua fonte di ispirazione…

Le periferie, i territori svantaggiati, questa parte di popolazione fuori dalla solita prospettiva, fuori dal campo visivo, hanno tanto da raccontare, forse perché qui c’è tanta vita che qualcuno non vuole vedere. Tra le tante cose ho provato a raccontare anche il disagio di quei luoghi che potremmo definire svantaggiati perché sono territori a cui non si danno opportunità. Non è la Napoli del Centro storico, non è quella del lungomare, quella da cartolina, ma anche qui c’è tanta storia. Penso ad esempio a Sant’Alfonso Maria de Liguori, mio concittadino, vescovo e compositore, una guida che ha illuminato la mia vita.

Hai festeggiato il David a Marianella, nel tuo quartiere, lontano da feste sfarzose. Un momento che ha commosso anche chi ti conosce e ti segue e che ha non ha smentito la tua coerenza come uomo ed artista. Come sei stato accolto dalla tua gente con quelle due statuette tra le mani?

Con la gioia. Ho l’immagine della felicità negli occhi dei bambini e la soddisfazione della mia gente. Non ho voluto un concerto, ma una condivisione popolare. Una festa in piazza per duemila persone con cibo, torte, fuochi d’artificio e tante foto con le statuette. Ho organizzato questa festa dedicandola a loro, perché sono fonte della mia ispirazione. Dopo quindici giorni ho vinto il premio “ Ennio Morricone”, ma non potevo replicare i festeggiamenti.

La musica è da sempre la forma d’arte con cui l’uomo si avvicina al sovrannaturale, con cui ci si innalza verso il divino. Qual è il tuo modo di pregare?

Sacro è tutto ciò a cui diamo un significato. L’esperienza del cattolicesimo mi è stata trasmessa fin da piccolo dalla mia famiglia. Poi per un periodo della mia vita ho praticato il buddismo di Nichiren Daishonin grazie all’incontro con Tina Turner. Recitavo costantemente Nam-myoho-rengekyo. Durante il mio terzo viaggio in America mi sono avvicinato ad una sorta di indusismo, poi sono ritornato al cattolicesimo. La spiritualità è un cammino, una ricerca personale, sicuramente presente nella musica, ma bisogna farlo senza retorica. La fede è un mezzo che, in modi diversi, porta allo stesso fine, la luce. Da cristiano, credente, prego stringendo il Rosario.

Hai suonato, o meglio, hai dialogato grazie alle note con tantissimi artisti nazionali ed internazionali, impossibile elencarli tutti, da James Brown a Francesco De Gregori, da Tina Turner a Hugh Masekela e ancora Afrika Bambataa, David Crosby, Khaled, Manu Dibango. C’è qualcuno con cui, in questo momento della tua vita hai desiderio di costruire un progetto?

Non c’è un nome in particolare. La vita è l’arte dell’incontro, così come la musica. Come si dice, le vie del Signore sono infinite. Affido la mia vita a questo pensiero. Vedremo cosa accadrà.

>di Manuela Ragucci

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