I “Villani” di DonPasta
23 Gennaio 2019
Da Nord e Sud, il viaggio di Daniele De Michele nell’Italia degli agricoltori
Presentato a Napoli nell’ambito di “AstraDoc-Viaggio nel Cinema del Reale”, “I Villani”, del regista Daniele De Michele (dj, economista e appassionato di gastronomia, meglio conosciuto come “DonPasta”; per il New York Times, “uno dei più inventivi attivisti del cibo”) colpisce per l’assoluta verità che vuole portare sullo schermo. L’avvento della modernità nel patrimonio culturale italiano affonda le radici nelle nostre abitudini alimentari e regolamenta tutte le pratiche gastronomiche secondo certificazioni sanitarie che pressano le piccole realtà.
Tutto questo è raccontato attraverso l’incontro con quattro agricoltori, inquadrati nella loro vita di sempre, immersi nelle tradizioni culinarie degli antenati, nel lavoro strenuo della vita di campagna, nel rapporto con la logica dei mercati. Nel legame con la cucina e con la terra ad emergere è l’assoluto amore per il cibo, per la qualità, per il valore di ciò che è buono e sano. Il cibo non è un fatto alimentare, ma sociale, che risponde alle esigenze del singolo, frutto di un sapere familiare e collettivo, accessibile a qualsiasi classe, e che per questo non può e non deve subire le logiche schiaccianti delle politiche industriali.
Scandito in decisivi momenti dall’alba al tramonto, il film racconta gli agricoltori attraverso il rapporto con la famiglia, con la terra e le difficoltà quotidiane. Emerge una saggezza contadina che permea tutti i gesti che compiono, tutte le parole che spendono in difesa della loro etica. Opporre resistenza è il solo vero obiettivo che ripaga della fatica, del senso di estraneità che fa di loro dei “diversi”.
In questo tempo “mordi e fuggi”, c’è speranza di far comprendere il valore della lentezza, riscoprendo i prodotti nostrani e conoscendo gli uomini e le donne che sono dietro ad ogni singola ricetta che profuma d’Italia?
Questo film mi dà un minimo di speranza: c’è un’idea artefatta del cibo, chi dovrebbe fare cultura dimentica le cose essenziali. Questo film è una risposta a quelle persone che hanno dimenticato la poesia e la storia della cultura del cibo. Andrebbero messi davanti alla scena del café di De Filippo in “Questi fantasmi” per capire che il cibo è un atto culturale e identitario e non un atto di edonismo elitista.
Tra le tante ore di girato in lungo e in largo per l’Italia, come ha scelto i suoi “villani”?
La scelta è stata per me molto dolorosa, perché in questi quattro anni avrò intervistato centinaia di persone. Ho un archivio enorme di interviste, ma servivano dei personaggi che fossero degli archetipi, capaci di sintetizzare i vari mestieri, di rappresentare l’Italia nelle sue complessità. Modesto, Totò, Luigina, Santino, messi assieme sono un ritratto meraviglioso dell’Italia, o quantomeno dell’Italia che io amo.
A Proust è bastato una piccolo dolce per intraprendere un viaggio nel tempo: qual è la sua “madeleine”, quel sapore capace di evocare i momenti della sua infanzia?
Come dolce i pasticcioni salentini. Come salato… la parmigiana!
Quale brano metterebbe su DonPasta mentre gusta il suo piatto preferito della tradizione partenopea? A proposito, qual è?
La genovese, senza ombra di dubbio. Con Coltrane in “A Love supreme”.
> di Manuela Ragucci