Sessa Aurunca, viaggio nella storia
17 Maggio 2019
Situata all’ombra del vulcano spento di Roccamonfina, lungo la via Appia, a breve distanza dal fiume Garigliano, Sessa Aurunca rivolge lo sguardo verso il golfo di Gaeta, nitidamente visibile durante le piacevoli giornate di sole. Realtà urbana antichissima, ha nel nome la fase primordiale della sua lunga storia, l’origine italica prima che romana. Fu conquistata da Roma nel IV secolo a. C. e conobbe, durante l’età augustea, il periodo migliore della sua vita: raggiunse la sua massima espansione urbana e l’imperatore Ottaviano la nominò Colonia Iulia Felix Classica Suessa e mantenne questo status per tutta l’epoca imperiale.
Terra del Falerno, già noto a Plinio il Vecchio, Marziale e Virgilio, che ne tessono le lodi esaltandone il gusto e l’antica genesi, Sessa Aurunca ha dato i natali a cittadini illustri, la cui memoria è ancora oggi viva: Gaio Lucilio (II secolo a. C.), poeta, membro del Circolo degli Scipioni, è considerato il padre della satira; Taddeo da Sessa, legò il suo nome a Federico II di Svevia, del quale fu fido consigliere, Gran Giustiziere ed ambasciatore; Agostino Nifo, filosofo del XVI secolo, docente universitario di filosofia a Padova e poi a Napoli, Roma e Pisa. E infine Galeazzo Florimonte, allievo del suddetto Nifo, che ispirò monsignor Giovanni della Casa alla realizzazione del Galateo, al quale diede appunto il titolo.
Grande e prezioso, il teatro è la più bella testimonianza del legame con Roma. Costruito nel I secolo d. C. durante l’impero di Augusto, fu ampliato e ristrutturato nel secolo successivo durante il regno di Antonio Pio. Capace di contenere circa 10mila spettatori, era arricchito con colonne in marmo provenienti da isole greche, dalla Numidia e dall’Egitto; architravi e capitelli erano invece in marmo di Carrara e di Atene. Nel Castello Ducale, assieme ad altri reperti provenienti dal teatro, è conservata una bellissima statua di Matidia Minore, cognata dell’imperatore Adriano. È affascinante notare la sensualità delle forme, esaltata dal panneggio della veste in marmo grigio, come se fosse agitato dal vento, mentre le parti nude del corpo sono in marmo bianco.
Passeggiare tra le strade di Sessa significa muoversi tra la storia e l’arte di epoche differenti e notare che capitelli e colonne ed epigrafi usati come paracarri, si accostano a cornici aragonesi che abbelliscono portoni e finestre di antichi palazzi. Percorrendo la trama di stradine del centro storico, si giunge al Duomo. Costruito tra il 1103 e il 1113, nel 1760 ha ricevuto un restauro di matrice barocca. Incarna la semiotica della cristianità medievale mediante elementi floreali vorticosi e animali minatori, le debolezze e i peccati dell’uomo, un drago con la testa umana tra le fauci che rappresenta Lucifero o i buoi i martiri. Singolare è un’aquila con la testa di agnello, che per allegoria e forma rimanda al più nobile Agnello.
Oggi la legatura fideista ha la propria sublimazione nella Settimana Santa, in cui la sacralità cristiana vive in strada la teatralizzazione di se stessa. Protagoniste sono le sei confraternite, ognuna con colori propri, storia e chiesa di appartenenza. L’acme del pathos è nel Venerdì Santo con la processione delle statue dei Misteri dolorosi, il Cristo Morto e le Tre Marie. Il loro andamento è a “cunnulella”, mentre le “Alluttate”, donne vestite di nero, rimandano al dolore della Madre. Tra i canti più importanti c’è il Miserere che, eseguito a tre voci, ricorda il suono cerimoniale dell’organo e porta l’animo a piangere una morte ancestrale e violenta.
di Guido Bucciaglia