Rubrica Cronache dalla Città: Meneghino & Barboncino
30 Luglio 2019
È ancora difficile comprendere come sia stato possibile che l’accento milanese sia riuscito a sdoganarsi negli ultimi trent’anni. Era più facile che un cammello passasse per la cruna di un ago – ché da ragazzino immaginavo aghi grandi quanto Porta Capuana – che per un lombardo diventare speaker radiotelevisivo. Un popolo che parlava poco e lavorava sodo ora parla talmente tanto che è difficile farlo smettere. I “parlatori lumbard” sono ovunque, dalle telecronache del calcio – dove straparlano rigorosamente in coppia – alle vendite di materassi e alla réclame delle mele del Trentino, dove – mistificante contraddizione – la ragazza mostra un florido seno del sud e un accento della Bovisa. Già solo l’inflessione dialettale a noi meridionali faceva paura: “Lo vedi che è tedesco?”, rimarcava Totò a Peppino su a Milano davanti al ghisa, il vigile col cappello a forma di panettone, tentando con terrore di farsi capire.
Poi Salvatore, il vice-sostituto portiere di “Così parlò Bellavista” – interpretato dal magico Benedetto Casillo – che quando De Crescenzo/Bellavista resta chiuso in ascensore con Cazzaniga, gli intima: “Professo’ resistete, chill’è milanese!”, riesumando nella memoria le dominazioni, prima politiche dei sabaudi e poi commerciali dei lombardi con le loro fabbriche dove si andava con la valigia di cartone.
Adesso però gli ambrogini sembrano diventati più chiacchiere & distintivo, invadono l’etere coi loro “un prosecchino/una michettina”, e tentano la terza dominazione del ‘900, dopo la savoiarda e quella teutonica, scatenando quaggiù un orgoglio di rivincita nella riesumazione delle vecchie bandiere borboniche del regno quando si è sentito il primo barista napoletano (orrore) rispondere a un cliente: “Dotto’, solo un attimino e il caffè è pronto”, facendo svenire il barone Lopez, un vecchio avvocato lontano discendente del Cardinale Ruffo. E “A Brigante, brigante e mezzo!”, come diceva il vecchio Pertini: il primo impeto di resistenza è stato la contro invasione partenopea con l’apertura di pizzerie tra i navigli e il Quadrilatero, poi con un esercito di scrittori che invadendo le librerie del nord hanno pittato quei cieli grigi di azzurro e vesuvi, nonché di venditori di calzini che all’incrocio della Tangenziale Ovest di Milano hanno promosso il made in Naples. Napoli quando mette insieme ironia e intelligenza riesce a prevalere, e ce lo ricorda ancora il Principe de Curtis, quando travestito da Monaco di Monza, nel contrastare il perfido Marchese Don Egidio, al sentire le sue discendenze borboniche, gli risponde: “Allora siamo parenti? Io da piccolo tenevo un cane: un barboncino”.
> di Francesco Di Domenico