Nino Taranto: Ironico e garbato, un gigante delle scene
25 Novembre 2019
La mia “storia” con Nino Taranto comincia un venerdì sera quasi per caso. Un incontro fortuito con Francesco De Blasio, il nipote del “commendatore” e segretario della fondazione che porta il suo nome, e la immediata agnizione della mia sconfinata passione verso uno dei pilastri dello spettacolo italiano tout court. Da lì la proposta di occuparmi della revisione critica dell’autobiografia scritta dallo stesso Taranto raccogliendo settant’anni di ricordi e già amorevolmente rivista dal figlio Raimondo con l’aggiunta di uno struggente capitolo finale sulle ultime settimane di vita del grande attore.
Abbiamo quindi trovato un “editore coraggioso” che ha sposato immediatamente l’idea a scatola chiusa, senza nemmeno leggere le bozze: “Se è stata scritta da Nino Taranto in persona la pubblico senza dubbio alcuno” è stata la risposta piena di entusiasmo unito alla squisita signorilità di Aldo Putignano.
Essendo cresciuto, prima ancora che con i libri, con il cinema, l’amore, lo slancio e l’emozione si univano alla curiosità per i racconti, gli aneddoti, le spigolature che quel testo avrebbe potuto svelare. Uso il condizionale perché prima di immergermi in quelle pagine ho avuto il legittimo dubbio che potessero non essere effettivamente affascinanti.
La prima regola, quando ci si confronta con la vita privata di un grande artista, è di mettere in conto la delusione: grandi scrittori che si rivelano aridi spilorci, romantici poeti che nell’intimo malmenano e umiliano le stesse donne cui dedicano versi sontuosi, pittori sublimi che al di fuori del lavoro al cavalletto sono dediti solo all’alcool e alla pornografia. Ma può esserci di peggio: la noia, la banalità, la piattezza di esistenze che al di fuori del furore creativo hanno ben poco da raccontare. Ho quindi inspirato profondamente e incrociato le dita prima di iniziare a leggere.
E invece fin dalle prime battute un “suono” perfetto delle parole, un accento riconoscibilissimo, un profluvio di particolari succulenti e mai ovvi, la ricostruzione fedele e quasi pittorica di un’epoca che comincia pressoché con l’inizio del secolo breve e prosegue lungo un arco che giunge fino alla metà degli anni ottanta, all’ultima, toccante uscita al proscenio del Sannazaro, il teatro dove ha regalato alla città gli ultimi bagliori della sua sfrenata dedizione al palcoscenico.
Un piccolo dizionario non solo del cinema ma anche della canzone, della televisione e naturalmente del teatro che lo hanno visto collaborare con grandi commediografi e imporsi come primo, vero ideatore della Viviani reinassance mettendo in scena i capolavori di un drammaturgo che era stato troppo frettolosamente dimenticato e di cui Nino Taranto capì la statura per nulla epicorica.
Scoprirlo ironico, garbato, sornione come alcuni dei migliori personaggi scolpiti nei suoi film ma anche colto, coraggioso, leale verso i colleghi, gli amici e il pubblico stesso, è stata una rivelazione per me preziosa che mi ha donato un privilegio raro: quello di aver tra i primi ritrovato tutta la fantasia, la ricchezza e la complessità di un gigante dello spettacolo.
> di Diego Nuzzo