Cosa ci lascerà il coronavirus?
26 Marzo 2020
Non è l’influenza Spagnola del 1918 che contagiò 500 milione di persone in tutto il mondo, provocandone il decesso di almeno 50-100 milioni. E non è neppure l’asiatica che nel 1957 provocò la morte di circa 2 milioni di persone e neanche quella di Hong Kong, detta anche la “spaziale”, che nel 1968 causò 1 milioni di decessi in tutto il mondo. E non è neppure la Sars, l’Hiv, l’Ebola e la Suina. No, non sono le pandemie che hanno attraversato il ventesimo secolo. Questa pandemia si chiama Covid-19 ed è un virus altamente contagioso partito come sempre dai paesi asiatici ma questa volta si sta propagando da Est verso Ovest.
Chi poteva immaginare che il 2020 sarebbe diventato annus horribilis. Iniziato già in sofferenza per gli incendi dell’Australia, poi i problemi dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici fino ad arrivare al virus letale. All’inizio sembrava essere un problema solo cinese ed invece, in poco tempo, ha coinvolto per prima i paesi dell’est scivolando piano piano fino all’Italia, flagellandola da oltre due mesi, e adesso sta penetrare in tutto il vecchio continente fino a diffondersi in Africa e in America. Da epidemia, in breve tempo, è diventata pandemia coinvolgendo l’intero pianeta, uno tzunami che ha portato in recessione profonda tutti i Paesi. Nessuno riusciva a pensare a una sciagura come questa che sta colpendo tutti i popoli: al momento, 900 milioni di persone in tutto il mondo sono confinate nelle loro case nella speranza di fermare l’epidemia. Non c’è più avanguardia, non c’è più retroguardia, siamo tutti in prima linea a combattere un nemico invisibile. Il viaggio del coronavirus continua ed è imprevedibile. E mentre in Cina temono l’epidemia di ritorno, in Iran ci sono oltre 9 mila contagiati, l’India in lockdown per ventuno giorni mette la mascherina anche agli elefanti e la Corea del Sud adotta la mappatura dei contagi online, i dati cambiano di ora in ora annichilendo tutti.
Cancellano i voli, chiudono le frontiere. E poi chiudono i bar, i teatri, gli asili, le scuole, le università. Si chiudono i negozi. Ogni giorno si rinuncia a un pezzo di vita, perché il virus non permette una vita normale. Poi si spengono anche i motori delle grandi fabbriche, il cuore economico dei nostri Paesi. E le città diventano silenziose, vuote, spettrali.
Viviamo in uno stato di letargo, lontani e isolati dagli affetti da oltre due settimane come se fosse la sequenza di un fantafilm, un thriller d’azione in cui ci dobbiamo difendere da un nemico invisibile. Così chiudiamo porte, sigilliamo le finestre, viviamo nella sicurezza della nostra casa, lasciando fuori la malattia, la morte, l’incertezza. Sessanta milioni di italiani chiusi nelle loro case. Come sarà il mondo dopo il coronavirus? Ma cosa ne sarà dei sopravvissuti? Non sarà più il mondo che avevamo. La pandemia ha segnato in maniera indelebile la nostra epoca. Nulla sarà come prima. Neanche durante la guerra era successo di non potersi vedere, di non potersi riunire con parenti e amici, di non poter pregare insieme e di non poter, neppure, dare una degna sepoltura ai nostri cari. Le persone che non riescono a sconfiggere il covid-19 muoiono in totale solitudine. Domani, però, quando si ricomincerà ad affacciarsi al mondo sarà difficile stringere mani, abbracciarsi, scambiarsi il bicchiere senza avere il dubbio che il contatto possa aver causato un pericoloso contagio. Non è escluso che dovremo abituarci ad una austerithy forzata: meno benessere, meno lavoro equamente distribuito e retribuito, più povertà. I soldi la fama non faranno più la differenza. Si dovranno riscrivere le regole finanziarie internazionali. Resterà solo il diritto di vivere almeno come si viveva prima. In tutto il mondo si conteranno i danni. E si comincerà dai morti, perché dietro ognuno di loro c’è una storia, che non è solo assenza dai familiari ma soprattutto una ferita per tutti gli individui, per i più giovani che hanno perso non soltanto gli affetti dei padri e dei nonni, ma soprattutto un punto di riferimento nella vita quotidiana.
Sapremo cogliere i segni di questo tempo? Cosa dovremmo saper fare? Come cambieranno le professioni, il lavoro?
Si riparte dalla coscienza di ognuno di noi. Ci sarà forse qualcuno che guardandosi alle spalle vedrà gli effetti deformati della società del benessere. Ci sarà qualcun altro che si sentirà nauseato dalla fragilità della vita vissuta e si renderà conto che è terribile un mondo in cui non tutti hanno le stesse opportunità. Altri ancora avranno imparato a dare valore al tempo, a capire quanto sia importante cogliere ogni istante. Non ci sarà spazio per le invidie, per le rivalità. Ci ricorderemo di questo momento come “prima della pandemia” e “dopo la pandemia”, allo stesso modo di quando parliamo di “prima e dopo Cristo”. E benché ci sentiamo smarriti a pensare al dopo, quando l’emergenza sarà finita, dobbiamo prepararci ad affrontarlo. Cominceremo a mettere le persone al centro delle nostre azioni quotidiane. Ognuno di noi sarà più consapevole della fugacità della vita e avrà imparato a distinguere tra ciò che è importante e ciò che è futile, tra ciò che è apparenza e ciò che è essenza del nostro vivere quotidiano. Ognuno di noi avrà bisogno di leggerezza, speranza ottimismo. Avrà bisogno dei valori fondamentali della nostra esistenza: al valore del dialogo, della solidarietà, dell’amore, dell’amicizia, dell’umiltà, del silenzio, della fratellanza, della gratitudine e del sorriso che da voce all’anima per dire “Io ci sono!”.
> di Daniela Rocca