Il culto de li culti
13 Gennaio 2021
Il volto misterioso di Napoli: da San Gennaro a Santa Patrizia, un interscambio continuo tra il regno dei morti e quello dei vivi
Quando da bambina attraversavo via dei Tribunali con mia nonna, le storie si sprecavano.
Quella che cos’è? È un’edicola votiva.
E che vuol dire, nonna? Vuol dire che una persona ha chiesto al suo santo protettore, o alla madonnina di fargli una grazia, un piacere speciale, per il quale si impegna a dare qualcosa in cambio.
La mia bambola andrebbe bene? Sì, ma insieme devi fare anche una promessa e mantenerla.
Per esempio? Per esempio fare una preghiera particolare tutte le sere.
La cosa mi sembrava alquanto impegnativa e poi alla mia bambola ci ero parecchio affezionata. Dentro quelle edicole, poi, mi pareva veramente che ci fosse di tutto: rosari, vecchie fotografie, bigliettini, fiori e candele di varia foggia e numero. E non erano solo per strada questi altari particolari. Anche in casa di mia nonna e delle amiche avevo potuto osservare gli altarini fotografici, nei quali pullulavano le immagini dei propri cari oramai defunti. Intrattenere un rapporto con i morti attraverso le loro immagini è una delle modalità più diffuse e conosciute dalla cultura popolare. È proprio attraverso la sua fotografia che ancora parliamo al nonno, a volte la foto che si sceglie è quella che in occasione del trigesimo (funzione religiosa che attraverso la messa rimemora il trentesimo giorno dopo la morte) si distribuisce a coloro che sono intervenuti. Potrebbero sembrare pratiche in disuso, ma a Napoli non lo sono: ancora si fa. La fotografia e gli oggetti che si portano in nome di chi non c’è più, rifondano la presenza di questa persona, rimangono elementi tangibili del suo passaggio nel mondo, consentono di realizzare il culto. Il rito permette ai sopravvissuti, non solo di gestire il lutto, ma di ricollocarsi nel mondo, dal momento che l’evento morte ha provocato un disorientamento dal quale sembra difficile risollevarsi. Napoli è una città particolarmente legata alla morte: ci ha fatto i conti sempre durante la sua lunga vita, ed ogni volta che era sembrata sul punto di soccombere si era inventata una nuova pelle nella quale stare. Per questo, forse, ha trovato il modo di celebrarla in maniera costante, ma pure di farsene beffe. Persino le guarattelle inseriscono la Morte nella storia tra Pulcinella e Teresina: la Morte ingaggia un combattimento con Pulcinella e alla fine è costretta a fuggir via. Nulla può contro la furba strategia della maschera, per quanto si ingegni la Morte, Pulcinella sa sempre come fare per scamparla.
Le edicole votive, dunque, rappresentano un modo per consentire ai vivi di lasciare una via di scampo ai propri cari, rendendoli “protettori”, riconsegnando a questi un “ruolo sociale” che in un certo senso, impedisce al vuoto di prendere il sopravvento. D’altra parte ogni oggetto che si consegna agli altari porta con sé una propria storia: la mia bambola, una volta passata dalle mie mani ai piedi del santo, avrebbe rappresentato me e la mia storia agli occhi di questi, obolo e tributo al tempo stesso, pegno di fedeltà ed elemento che ricorda la promessa di scambio che con il Santo si fa. Gli altari domestici e quelli distribuiti nei vicoli della città vogliono tutti sancire questo patto tra chi resta e chi è andato, una sorta di porta tra le dimensioni che non intende solo celebrare una fine, ma rimarcare il rapporto che rimane pur appartenendo a luoghi, per forza di cose diversi, lontani. La stessa pratica dello scioglimento del sangue di San Gennaro e di Santa Patrizia (forse non tutti sanno Santa Patrizia essere compatrona di Napoli, vissuta nel VII secolo e morta ventenne, che liquefa il sangue delle sue reliquie nel complesso monumentale di San Gregorio Armeno) rende evidente questo interscambio continuo tra il regno dei morti e quello dei vivi. Un interscambio che la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, appunto lungo via dei Tribunali, pratica dalla sua fondazione, nel 1616. Questa chiesa, meglio conosciuta come la chiesa “de’’e cape ‘e morte” accoglie tutti coloro che dedicano una preghiera in suffragio per passare dal Purgatorio al Paradiso: nella sua parte inferiore lungo tutte le pareti si susseguono altarini, nicchie, croci, che sanciscono il passaggio definitivo dell’oggettistica dal campo del profano a quello del sacro.
Sono solo alcuni spunti e potrei scrivere veramente pagine approfondite su quello che significa, in particolare per Napoli ed i napoletani, il culto dei morti, ma forse anche solo queste brevi note basteranno a far comprendere come e perché l’ex Stadio San Paolo è diventato la nuova cattedrale della città: una basilica a cielo aperto, alla quale consegnare reliquie e memorie, ai piedi della quale montare altari di cartapesta, in cui celebrare e venerare il mito di qualcuno che a dispetto di tutto e tutti, ce l’ha fatta. Piaccia o no.
di Barbara Napolitano