Alla ricerca della verità
27 Gennaio 2021
Il giornalismo è storiografia dell’istante, presidio della democrazia. Le considerazioni di Ermanno Corsi
Dove va il giornalismo, nell’era digitale, al tempo della pandemia? C’è un virus “insidioso e ad altissimo contagio” che si accompagna all’emergenza Covid, nei confronti del quale bisogna alzare la guardia. Si tratta dell’infodemia, ovvero la circolazione smisurata di informazioni contrastanti, spesso non verificate e a volte non veritiere. Un problema serio, amplificato dall’uso massiccio del web e dei social network, che fa della comunicazione, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, un ostacolo alla corretta informazione. Ma qual è la funzione del giornalismo? Essere lo specchio della società: uno specchio che deve riflettere bene, senza mitigare né drammatizzare, quello che accade e che ha il dovere di “raccontare” secondo i criteri della oggettività, imparzialità, tempestività e pluralismo. Ne parliamo con Ermanno Corsi, Giornalista, Articolista, Opinionista, già Capo Redattore RAI Napoli e Presidente Ordine Giornalisti della Campania.
Ermanno, a tuo parere, è cambiato il modo di fare giornalismo o il modo di recepire e fruire dell’informazione?
«Sì e in maniera molto evidente. Per capire il cambiamento non basta rifarsi al “segno dei tempi” che pure conta molto. Il giornalismo, specialmente la cronaca, è storiografia dell’istante, diceva Albert Camus, nel senso che con rapidità e immediatezza deve fornire momento per momento, in presa diretta, come gira e cosa produce il contesto sociale in cui si vive. Necessario, per questo, usare in modo molto professionale gli strumenti tecnologici che il progresso rende disponibili (audio video, social, giornali stampati, webinar). I comunicatori, qualunque sia lo strumento usato, debbono tener conto di come la società stia vivendo il proprio tempo considerando che, se pure il mondo è “diventato un villaggio” (McLuhan), nessuno vuole viverne ai margini. È forte la spinta a sentirsi partecipi di un sistema ormai globalizzato. Per questo non solo informazione, quindi, ma elementi di approfondimento formativo che ci consentano di comprendere, il più compiutamente possibile, la dialettica e lo spirito del tempo».
Un antico proverbio dice “Uomo avvisato, mezzo salvato”, ma io direi di più e precisamente “Uomo informato, mezzo salvato”. Cosa ne pensi?
«Sono pienamente d’accordo con l’informazione-salvezza. Quando Silvio Ceccato, filosofo cibernetico, teorizzò questo binomio, molti storsero il naso come se lui avesse invaso un campo non suo. L’evoluzione culturale gli ha dato pienamente ragione. Oggi si è più convinti di prima che “vale di più chi è più informato” perché si presuppone che abbia un orizzonte mentale più ampio, più duttile e ricettivo. Umberto Eco giungeva al punto di affermare che, attraverso il giornalismo, si può imparare tutto, a cominciare dalla matematica».
Qual è e quale dovrebbe essere per te il rapporto tra informazione e cultura?
«Un rapporto di sinergia tra due modalità formative distinte ma non distanti, anzi pienamente complementari. Quando l’informazione aiuta ad approfondire e ad analizzare, a rendersi conto delle cose, a sentirsi integrati e non marginali, predispone ad “andare oltre” e a vivere consapevolmente i grandi valori etico-morali. Cultura, del resto, viene dal latino còlere che significa coltivare, avere cura. Nella forma riflessiva equivale a curarsi e avere rispetto di sé come premessa per avere cura e rispetto degli altri. Tutte le volte che, in sede universitaria o professionale ne ho avuto occasione, ho ricordato che cultura va declinata in quattro modi: sapere e saper fare, far sapere e saper essere. Informazione e cultura non sono per niente antitetici. Si accompagnano e vanno bene insieme».
Quanto il giornalismo cambia e contribuisce a cambiare la società e quanto la società, seguendo i ritmi propri, cambia il modo di fare giornalismo?
«Il giornalismo ha un lessico molto duttile, pronto a recepire le nuove modalità linguistiche. Consentimi, cara Daniela, di ricordare Leopardi (“una lingua non avrà più mestieri di accrescimento allora solo quando o essa o il mondo sarà finito”). Il vocabolario Zingarelli ad ogni nuova edizione porta una quantità rilevante di neologismi, nuove parole che nascono dalla nostra quotidianità globalizzata. Il giornalismo cambia secondo i metodi e gli strumenti di produzione, ma soprattutto per le sue forme espressive. Contribuisce così, in maniera decisiva, a cambiare la società e se stesso».
di Daniela Rocca