La cultura è il punto di partenza
05 Dicembre 2020
Puntare sulla formazione, imparare a fare impresa ed essere un po’ visionari. Queste le parole chiave di Elena Perrella, direttore creativo della Maison Emilio Schuberth per scommettere sul futuro della Campania
Concretezza, visione e sacrificio. Il curriculum di Elena Perrella racconta con chiarezza un percorso di formazione sfociato in professionalità esigente e ribollente creatività. Dall’insegnamento di materie scientifiche per le scuole secondarie di secondo grado alla Fondazione Mondragone con la presidenza del Polo Regionale della Moda della Regione Campania: ha diretto un Museo del Tessile e della Moda, curato il coordinamento scientifico del Progetto P.L.A.I.T. per l’internazionalizzazione delle Aziende che operano nel settore della moda. Dal 2006 è direttore creativo della Maison Emilio Schuberth.
La parola che ripete più spesso è: “progetto”, ciò a cui torna sempre è la docenza: prima Comunicazione della Moda al Suor Orsola, adesso alla Mercatorum.
Il marchio Schuberth ha fatto la storia dell’eleganza napoletana e non solo. Come si cura la comunicazione per un prodotto già tanto prestigioso?
Schubert è un marchio eccellente, ma parlare di marchi risulta quasi astratto. È quando ci si addentra nei contenuti e nel percorso legato a chi ha fatto la moda, quando i progetti si concretizzano in persone e si fanno sposare a un’immagine e a una vita, che il marchio assume vita e rende riconoscibili. Parlare di brevetto, di marchi, di valore e valore aggiunto -che non è solo fatturato, ma anche immagine e comunicazione del brand- per me costituisce la strada giusta, anche se lo contestualizziamo in un percorso nuovo di industrializzazione, perché non possiamo prescindere dalle tecnologie. Un mix tra storia e innovazione, io parlo in questi termini di Schuberth. Un progetto mirato all’heritage della moda, che possa parlare alle giovani generazioni.
Ritiene possibile oggi un dialogo intergenerazionale o si è persa una lingua comune?
Si deve senz’altro recuperare un dialogo e coinvolgere maggiormente questi giovani. È una generazione che io vedo molto debole. Forse siamo responsabili anche noi per averli protetti troppo, allontanando da loro le preoccupazioni li abbiamo deresponsabilizzati. Di fatto hanno sostituito alla formazione l’informazione. L’improvvisazione caratterizza questi tempi. E la mancanza di sacrificio.
Eppure alle spalle abbiamo una grande Storia in Campania, anche imprenditoriale.
I più grandi sono stati quelli che sapevano di prodotto, di sartoria, il Made in Italy è nato così negli anni Cinquanta, da grandi sarti. Schuberth è stato uno di questi, nasceva a Napoli nella tradizione dei guanti e dei cappelli, che è la nostra tradizione forse dimenticata, ma noi siamo stati questo. Eleganza e solidità.
Cosa pensa di questo periodo storico ed economico da post-Covid-19? C’è un vaccino per la ripresa?
.È una fase unica di cambiamento questa, in cui rimboccarsi le maniche e far leva su una classe di giovani che vanno formati. Abbiamo bisogno di raccontare chi eravamo per capire chi siamo e cosa vogliamo diventare. Bisogna essere un po’ visionari perché si ha l’impressione che si sia già visto tutto. Occorre che la formazione torni a essere centrale. Dobbiamo far leva sulle risorse che abbiamo, non sempre è necessario andare lontano. Abbiamo bisogno di fare impresa, di rilanciare l’industria. In questo momento non ci si può aspettare tutto dal pubblico, ma ci sono troppe start up e poche aziende consolidate a fare da traino. Immagino la costruzione di progetti, a me piace parlare di politiche bottom up, di partire dal basso, perché non si può prescindere dal territorio e dalle sue risorse, che oggi si vedono stretti in una morsa, con il loro sacrificio poco considerato. Abbiamo una società campana sana in parte, e in parte meno sana. Ma in Campania abbiamo brand di cui trovi il cartellino Made in Italy ovunque nel mondo, questa è una realtà. Lo stesso Cis di Nola è stato una realtà, per non parlare del calzaturiero. Abbiamo degli ottimi artigiani, persone intraprendenti, che già in passato si sono reinventati all’estero e hanno saputo cavalcare il brand. Abbiamo un grande potenziale, ci manca la parte di management per strutturare con più forza i talenti di cui abbondiamo.
di Simona Ciniglio