Napoli ieri, Napoli oggi
13 Marzo 2021
Quarant’anni fa c’era il colera, oggi il coronavirus. Da allora cosa è cambiato?
1973 e 2020 cosa hanno in comune questi due anni?
Fine estate del 1973, epidemia del colera: l’inizio dell’incubo che travolse Napoli e buona parte dell’Italia. In brevissimo tempo si scatenò il panico. Neppure un fantasioso autore di film catastrofisti avrebbe immaginato una trama ambientata in una città e nel suo hinterland, tra le più densamente popolate dell’Europa, in balia di un male che si riteneva sopravvivesse soltanto in angoli remoti della terra segnati da miseria e sottosviluppo. Una malattia, quella del colera, potenzialmente letale, che molti credevano debellata da tempo nei paesi industrializzati. La causa fu attribuita a una partita di crostacei importati illegalmente dalla Tunisia. Immediatamente le autorità disposero l’aggiunta di cloro nelle riserve idriche, vietando la vendita di pesce e frutti di mare con la sanificazione di tutte le strade della città. La memoria comune, in quei giorni, ricordava l’epidemia storica, quella del 1836 che causò più di 6mila morti e che ispirò Morte a Venezia di Thomas Mann, in seguito alla quale sventrarono e ricostruirono la zona portuale con l’opera conosciuta come Risanamento.
A Napoli la paura del colera è ancestrale, la sola parola evoca il panico. Chi è stato testimone di quei giorni ha vivo il ricordo di momenti ora drammatici ora grotteschi. Per evitare che quella sciagura si ripetesse, i napoletani chiesero con forza una campagna di vaccinazione di massa. Nel giro di pochi giorni si allestirono ovunque i centri vaccinali aperti 12 ore al giorno e si formarono lunghe file di persone desiderose di essere vaccinate. Nessuno saltava la fila: la città era diventata improvvisamente disciplinata. Un ruolo molto importante fu svolto dai militari statunitensi della Environmental Preventive Medicine Unit (EPMU) della Sesta flotta che stazionava a Bagnoli. Si videro per la prima volta le pistole mediche, che sparavano il siero anti-vibrione, utilizzate per la prima volta nella guerra in Vietnam. Un milione di dosi offerte alla popolazione partenopea: in tutta Italia furono 911 i ricoveri, 277 i casi accertati, 24 i morti a Napoli e 3 in Puglia, nella sola Bari. Con questo stratagemma riuscirono a vaccinare 30mila persone in meno di 5 ore e in un settimana fu vaccinato 1 milione di persone. In verità, gli americani, diedero anche una mano nei rifornimenti alla città di alimenti, perché i napoletani improvvisamente si trovarono a corto di generi alimentari. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò conclusa l’infezione di colera il 15 ottobre. L’incubo a Napoli durò due mesi e l’OMS si complimentò con le equipe mediche campane, estremamente scrupolose, in un momento così difficile e inaspettato. L’efficienza dimostrata allora fu notevole, e difficile da replicare.
Fine febbraio 2020, epidemia da Covid-19. Mascherina, distanziamento, igiene personale, quarantena, cordone sanitario, sanificazioni e ospedali dedicati ai contagiati. Bisogna stare a casa e uscire solo per necessità urgenti, viaggiare è consentito soltanto con permessi speciali, chiudono le scuole.
Covid e colera, due pandemie venute dall’Asia. Oggi un virus che attacca l’apparato respiratorio, allora un agente patogeno che mirava all’intestino. Il Covid-19, però, ha un tasso di mortalità molto più basso di quello del colera, di conseguenza la paura che spinge le persone a vaccinarsi è minore. E ancora, il Covid è una malattia nuova, scoperta da appena un anno, molto contagiosa che, per quanto nei mesi passati sia stato ampiamente studiato, presenta ancora diverse incognite. Inoltre, gli italiani sono più scettici nei confronti del vaccino. Il colera, invece, era una malattia nota, per la quale esisteva già un vaccino. Ma perché nel 1973 riuscirono a vaccinare 1 milione di persone in una settimana e oggi, in due mesi, da quando è iniziata la campagna vaccinale, sono state somministrate solo 504.476 dosi? I problemi di approvvigionamento non bastano a spiegare il rallentamento della campagna vaccinale: circa l’80% delle dosi di vaccino Astra Zeneca arrivate non è stato usato, una partite è stata anche ritirate in attesa di conoscere eventuali controindicazioni. Perché questo rallentamento? Indubbiamente, uno dei problemi di questa lentezza è la mancanza di personale qualificato e le siringhe a pistola utilizzate nel 1973 non possono più essere usate per il rischio di diffusione di malattie come l’Hiv e l’Epatite. In Italia, oggi, per vaccinare una persona ci vogliono circa 6 minuti. È stato stimato che, al 10 marzo, 1.803.693 della popolazione ha ricevuto la prima e la seconda dose di vaccino, circa il 3,02% degli italiani (in Campania 86,7% rispetto alle dosi consegnate, nel Lazio l’80,8% e in Lombardia il 71,8%).
Con questo passo sarà difficile raggiungere l’obiettivo dell’”immunità di comunità”, atteso nei prossimi mesi.
E, benché, le quantità di vaccini a disposizione sono ancora piuttosto ridotte, i numeri per poter parlare di immunità di comunità sono, per contro, molto alti. Si stima infatti, che per raggiungerla debba essere vaccinato il 65-70% della popolazione italiana. Nel caso dell’infezione da Sars-Cov-2, la stima andrà verificata sul campo: quanto il vaccino protegge dall’infezione? Quanto contro la malattia? Quanto contro le variabili?
Con queste incertezze servirà un “miracolo” per completare la campagna vaccinale entro quest’anno. I napoletani amano far notare che l’ultimo caso di colera è stato diagnosticato il 19 settembre 1973, il giorno della festa di san Gennaro, dobbiamo quindi aspettare?
- La Redazione