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Il ritorno del bradisismo nell’area flegrea, tra timori e nuovi studi

  07 Aprile 2021

Il fisico Adriano Mazzarella e il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo fanno il punto della situazione dopo lo sciame sismico degli ultimi mesi

Negli ultimi mesi, nell’area dei Campi Flegrei, si registra un ritorno del fenomeno del bradisismo. I forti boati che precedono lo sciame sismico agitano il sonno dei residenti con i fragori che si odono ancor più nitidi nel silenzio delle notti di coprifuoco.

La ripresa dell’attività sismica riaccende i riflettori sul territorio flegreo, sui rischi per la popolazione e sulla validità dei piani di emergenza. In tale situazione, pertanto, è fondamentale comprendere se la portata del fenomeno è tale da destare rinnovati allarmi. «Negli ultimi mesi – ricorda il fisico Adriano Mazzarella, già professore di Meteorologia e Climatologia all’Università Federico II di Napoli – il bradisismo è aumentato con un sollevamento dell’area flegrea di circa un centimetro al mese. Negli ultimi decenni ci sono state, tuttavia, due crisi molto più gravi con un sollevamento di un metro all’anno».

Gli studi sul bradisismo e sulle possibili cause che ne amplificano l’impatto sono, naturalmente, in continua evoluzione e offrono nuove interpretazioni al fenomeno. Di recente, sulla rivista svizzera Water (https://www.mdpi.com/2073-4441/13/2/154), è apparso uno studio del professor Mazzarella e del suo collega Antonio Scafetta, professore di Meteorologia e Climatologia presso l’Università Federico II, incentrato sulla stretta relazione tra la pioggia e l’attività sismica flegrea: «Abbiamo confrontato, relativamente all’intervallo 2008-2020, il catalogo dei sismi misurati ai Campi Flegrei con quello delle piogge giornaliere misura- te dall’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II. Tale confronto ha permesso di sviluppare un modello fisico-statistico che ha verificato l’influenza della pioggia sull’attività sismica flegrea. Le abbondanti e continue piogge cadute su Na- poli in questi ultimi mesi hanno creato panico nella popolazione puteolana anche per i boati notturni. La pioggia penetra in profondità nel sottosuolo caldo e molto fratturato dei Campi Flegrei, si mescola con i bollenti fluidi idrotermali e causa micro-esplosioni. È lo stesso fenomeno per il quale, in cucina, l’acqua a contatto con l’olio bollente esplode». Se l’attuale attività sismica non sembra preludere a rischi di eruzione, ed è certamente meno preoccupante delle crisi bradisismiche registrate nei bienni 1970-72 e 1982-84, l’attenzione sull’area flegrea va mantenuta comunque alta: «I Campi Flegrei devono sempre preoccuparci, perché si tratta di un supervulcano attivo. Un nodo cruciale resta, però, quello del piano d’emergenza, secondo alcuni inadeguato e incompleto».

E proprio sul tema del piano d’emergenza si concentra ormai da anni l’attenzione di Giuseppe Mastrolorenzo – primo ricercatore e vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano – che ne denuncia l’inadeguatezza sulla base di evidenze vulcanologiche e magmatologiche: «Nel 2014 – ricorda – ho pubblicato le prime mappe di pericolosità vulcanica dei Campi Flegrei, evidenziando come i flussi piroclastici (nubi di gas e cenere a temperatura di centinaia di gradi e velocità di centinaia di chilometri orari) possano invadere l’intera area metropolitana di Napoli, con 3 milioni di abitanti, entro un raggio di almeno venti chilometri dalla possibile bocca eruttiva». Dal 2012 il livello di allerta per i Campi Flegrei è stato elevato da verde (base) a giallo (attenzione); i livelli successivi sono quelli arancione (preallarme) e rosso, quest’ultimo di evacuazione dell’intera zona rossa per variazioni critiche nei parametri monitorati: «Per tale eventualità – osserva Mastrolorenzo – ritengo sia necessario adeguare gli scenari e inserire in zona rossa l’intera area metropolitana, anziché i soli comuni flegrei e i quartieri occidentali di Napoli. Le eruzioni sono intrinsecamente imprevedibili, ma il processo eruttivo è progressivo e quasi sempre anticipato da fenomeni precursori; per questo motivo l’evacuazione della popolazione a rischio è certamente attuabile». Insomma è possibile vivere in prossimità o all’interno di aree vulcaniche attive, ma con piani di emergenza adeguati, di tempestiva attuazione e con efficace informazione alla popolazione. In tal senso è fondamentale dar luogo a periodiche esercitazioni: «La sottovalutazione dello scenario di rischio o un ritardo nell’attuazione – per un naturale atteggiamento ottimistico o per non meglio dichiarate valutazioni relative a costi e benefici o probabilistiche – potrebbero comportare invece gravi conseguenze nella gestione della emergenza vulcanica, analogamente a quanto si è sperimentato nell’attuale emergenza pandemica».

di Giuseppe Farese

 

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