Dieta Mediterranea: la salute dentro il piatto
17 Aprile 2021
L’importanza della DM per costruire un futuro migliore e aiutare il nostro pianeta facendo attenzione alle scelte quotidiane, tra le quali quelle relative agli alimenti e alla riduzione degli sprechi
In America negli anni 50, cominciò a dilagare quella che fu definita la malattia del benessere. Infatti, nell’immediato dopoguerra l’obesità affliggeva una fetta consistente della popolazione abbiente americana. Si registrò in quegli anni un aumento esponenziale di imprenditori morti per infarto e malattie cardiovascolari.
La possibile correlazione tra errate abitudini alimentari ed aumento della mortalità non sfuggì al dott. Ancel Keys, scienziato di Minneapolis già famoso per aver inventato la “Razione K“, ovvero le barrette di cioccolato ed i biscotti che i soldati americani utilizzavano in guerra, in quanto pasti indispensabili per combattere nel pieno delle energie, senza rischiare di morire di fame nei territori nemici. Il dott. Keys intraprese uno studio nel quale comparò le abitudini alimentari di diversi Paesi nel Mondo, cercando di stabilire quale fosse la relazione tra il “wellbeing” degli abitanti e le loro abitudini culinarie. La svolta arrivò quando Gino Bergami, studioso di fisiologia e professore della Federico II di Napoli, in seguito ad un convegno della FAO tenutosi a Roma, invitò Keys a trascorrere un periodo nel capoluogo campano proprio perché lì c’era la minore incidenza di malattie cardiache ed infarti. Incuriosito, lo scienziato accettò l’invito e, una volta a Napoli, intraprese con la moglie Margaret un progetto ambizioso: curare l’Uomo attraverso il cibo sano. Da qui la completa rivalutazione dei cosiddetti “piatti poveri”, tipici della cucina del Sud Italia, così lontana dalla elaborata, ed allora in voga, cucina francese.
La cucina italiana, specialmente quella meridionale, in passato non aveva un grande appeal nell’opinione pubblica, anche perché pasta e pizza venivano immediatamente associate alle folle di emigranti che lasciavano l’Italia alla volta di New York, Londra e Parigi in cerca di un futuro migliore. I risultati ottenuti dagli studi di Keys dimostrarono che più ci si allontanava dal regime alimentare tipico dei paesi del Mediterraneo, maggiore era l’incidenza di patologie cardiovascolari. Il dott. Keys riunì nel concetto di “Dieta Mediterranea” l’insieme di cibi, di condimenti e di cotture tipici del Sud Italia e nel novembre 2010 l’Unesco ha riconosciuto il modello alimentare mediterraneo “patrimonio immateriale dell’umanità”, riconoscendone la paternità ad Italia, Grecia, Marocco, Cipro, Croazia e Portogallo. La Dieta Mediterranea rappresenta un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e il consumo del cibo. In pratica l’antitesi del junk-food e dei cibi preconfezionati di cui raramente si riesce a ricostruire la filiera.
Si tratta di una dieta a base prevalentemente di vegetali freschi e cereali, quindi, come riconosciuto anche dalla FAO, fondamentale nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Nel 2016 l’International Foundation of Mediterranean Diet ha identificato i quattro vantaggi della dieta mediterranea: il miglioramento della salute, il minor impatto ambientale riducendo i volumi della filiera delle carni, l’alto valore socioculturale e i ritorni positivi sull’economia locale. Questa dieta, infatti, incentiva il consumo stagionale di prodotti freschi e
locali, predilige la varietà di cibi, stimola le attività culinarie tradizionali, la convivialità e la frugalità ed inoltre rispetta le specificità, il che può giovare alle economie locali.
Optare per la dieta mediterranea vuol dire porre in primo piano i concetti di stagionalità dei prodotti, varietà e biodiversità degli alimenti. Princìpi appartenenti al bacino del Mediterraneo, ma estensibili in ogni parte del mondo nel rispetto delle tradizioni locali.
di Aurora Rennella