Una visione euromediterranea
22 Aprile 2021
Il Sud Italia hub mediterraneo del più grosso mercato al mondo. La riflessione del Professore Adriano Giannola, presidente di Svimez
La ripartenza non è semplice, con il coronavirus che rischia di fermare, o quanto meno rallentare, l’economia. «In questo momento abbiamo una congiuntura, diciamo favorevole. L’Europa ha capito che l’Italia è fondamentale per l’Unione europea perché presiede il Mediterraneo, che non è un mare periferico, ma il centro del più grande mercato al mondo. Purtroppo, siamo noi a non aver capito questa nostra opportunità. Siamo di fronte al continente più giovane, con una età media di 20/30 anni, in rapida crescita demografica e in rapida crescita economica e i mercati del futuro sono l’Africa, il Maghreb, il Medioriente», afferma Adriano Giannola.
A suo parere, in questo momento, quali sono le priorità per la ripartenza del Paese e per il Mezzogiorno?
«Per la ripartenza, paradossalmente, la priorità è proprio il Mezzogiorno per molti motivi. Primo perché l’Europa ci controlla: quando si andranno a vedere i risultati e si vedrà che magari le diseguaglianze sono aumentate, che la disoccupazione giovanile del Sud è sempre alta, l’Europa comincerà a indagare sull’uso dei fondi che ci dovrebbe mettere a disposizione. Il primo elemento, quindi, è far fronte a un’emergenza sociale generale ma fortissima soprattutto al Sud, una bomba ad orologeria. Occorre cambiare la visione rispetto agli stereotipi, alle narrazioni sulla Questione Meridionale: oggi il Sud va letto in modo totalmente diverso in un’ottica nazionale di enorme potenzialità che ha l’Italia di riprendersi in mano il suo destino di grande paese europeo».
Il Sud, quindi, è l’elemento fondamentale per un “nuovo miracolo”.
«Auspicabile ma in una forma diversa, molto più avanzata. Abbiamo porti, aeroporti, ospedali, scuole, buone università e centri di ricerca, possediamo tutta l’attrezzatura per rispondere alla prospettiva di questo sviluppo. Il Mediterraneo è la nostra forza sia culturale che economica».
In questo senso dobbiamo ricucire l’Italia: non più Nord e Sud, ma un territorio integrato.
«Un territorio coeso, curato, reso forte perché ben connesso. Quindi infrastrutture, scuole e sanità: tre pilastri fondamentali che, di fatto, sono negati nel Mezzogiorno che ha un gap enorme di diritti non fruibili rispetto al Centro-Nord. Non ci rendiamo conto che l’Italia è l’unico paese europeo, il cui reddito pro capite, in termini reali, negli ultimi 15 anni è diminuito. In questo senso, un piano di recupero che si rispetti, dovrebbe essere preceduto da un confronto molto serrato e franco e da una alleanza italiana, Nord-Sud per un nuovo sviluppo».
L’Europa individua il problema nei “nostri problemi atavici” e lo dice con chiarezza.
«Esattamente, individua la debolezza fondamentale dell’Italia nella sua crisi profonda. Non solo il Mezzogiorno, anche il Nord ha un sistema che va a scartamento ridotto. Il divario investe proprio le regioni cosiddette “forti”. Regioni storiche come il Piemonte sono a un passo dall’entrare in alcuni dei parametri delle politiche di coesione. La stessa cosa avviene per la Toscana che è il modello del localismo più virtuoso. È già avvenuto per l’Umbria e per le Marche che sono oramai in transizione verso il Mezzogiorno e rischia di avvenire anche per il Friuli Venezia Giulia. La Lombardia, nel giro di 15 anni, ha perso 30 punti di Pil pro capite e continua anno dopo anno a scendere. Il divario che preoccupa non è il classico gap Nord-Sud, allarma la differenza tra l’Italia e il resto dell’Unione europea».
Lei ha sottoscritto, insieme a 200 intellettuali, il Manifesto del Sud in cui richiedete una ripartizione più equa dei fondi che saranno messi a disposizione dalla Ue?
«L’Europa chiede lotta alle diseguaglianze e maggiore coesione sociale per evitare che il potenziale di crescita si riduca ulteriormente. Evidentemente, l’Europa è preoccupatissima per se stessa, perché se l’Italia entra in crisi, è un pericolo pesantissimo per tutto il sistema. Detto questo, se vogliamo ridurre le diseguaglianze, dobbiamo intervenire nei comparti del nostro sistema, per esempio parlando di scuola, si potrebbe aumentare il tempo pieno al Sud, il che comporta un aumento di fondi alla scuola maggiore al Sud che al Nord. Così come per la sanità, se si deve spendere, in base all’esigenza, la quota maggiore va al Sud. Ovvero, garantire quello che la Costituzione sancisce: che sia garantita sanità, scuola e infrastrutture. Quindi, investimenti pubblici prevalentemente al Sud: ridurre il divario è fondamentale per ricucire l’Italia».
Bisogna innescare una rivoluzione logistica.
«Una rivoluzione logistica che consente di dare valore a tutte le attività. Non è un puro adeguamento tecnico ma mettere a rendita un potenziale: per noi essere nel Mediterraneo è un’enorme rendita che dobbiamo essere capaci di sfruttare».
Dare più al Sud, però, non significa amputare il Nord?
«È necessario trovare un sistema equilibrato di priorità. E le priorità, in questo momento, sono al Sud. Per prima cosa occorre colmare il crescente divario infrastrutturale: quindi investimenti su reti ferroviarie veloci, porti e autostrade del mare, strade. I porti di grande interesse nel discorso euromediterraneo sono Napoli, Bari, Gioia Tauro, Taranto, Augusta, Palermo, Catania, ecc.. Occorre superare le logiche provinciali: industria ad alta tecnologia, agricoltura di eccellenza, strutture industriali, interporti, porti vengono utilizzati, di fatto, in modo irrazionale, senza approfittare delle opportunità che il sistema può dare. In un’ottica euromediterranea, la nostra priorità e quella di lavorare con razionalità per costruire al Sud dell’Europa, quello che c’è al Nord».
Occorre mettere a sistema anche le Zes che non sono mai partite.
«La messa a sistema delle Zes contribuisce a completare le grandi direttrici d’Europa, con l’attivazione delle linee Tirrenica ed Adriatica di autostrade del mare per integrare Nord e Sud in un sistema logistico, sostenibile e multimodale, che offre all’Europa un inedito, indispensabile Southern Range. Abbiamo sei Zes che non sono mai partite perché non si fanno semplificazioni adeguate, perché non c’è la zona doganale interclusa, o più semplicemente perché non c’è un pro- getto in un’ottica euromediterranea».
di Daniela Rocca