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Turismo motore della vera ripartenza

  09 Luglio 2021

Un settore che vale 25,6 miliardi di euro di fatturato, costituisce il 13% del PIL e conta 283 mila addetti in 52 mila imprese. «Occorre creare offerte su numeri più ridotti in grado, però, di assicurare determinati standard». Valentina della Corte, professore di Economia e Gestione delle Imprese spiega il perché 

Sono convinta che il turismo, superata questa grande crisi e non appena le condizioni lo consentiranno, ricomincerà in maniera esplosiva». Ad affermarlo è Valentina della Corte professore di Economia e Gestione delle Imprese e coordinatrice del corso di laurea in Hospitality Management presso l’Università Federico II di Napoli, partito l’anno scorso e voluto con determinazione dall’allora ministro Gaetano Manfredi. Il pericolo sembra essere superato e il desiderio di viaggiare non è scomparso. «Da uno studio effettuato dal nostro Ateneo, in collaborazione con l’Università del South Florida, per verificare l’interesse dei turisti di tutto il mondo durante l’emergenza, è emerso chiaramente l’interesse ai viaggi, al turismo ma con le necessarie garanzie di sicurezza, quelle regole che le nostre imprese del settore hanno dimostrato di saper applicare la scorsa estate», precisa. 

 Dal suo osservatorio privilegiato, quali sono le dinamiche strategiche e di marketing delle imprese e dei sistemi turistici, alla luce della recente emergenza pandemica? 

«La chiave è safe hospitality. È importante che le destinazioni turistiche e le imprese ad esse appartenenti diano una chiara evidenza di un processo di rinascita e di ripresa imperniato sul tema vero della sostenibilità. Questo, chiaramente, significa sicurezza e salute: occorre rendere l’esperienza del turista, non solo piacevole, ma anche rilassante sotto il profilo della sicurezza. Più che mai, all’indomani della pandemia, dobbiamo puntare a un turismo che favorisca il benessere. Il turista oggi è più consapevole ed esigente, più attento alla sicurezza sanitaria, alla qualità e l’offerta ne deve tener conto». 

 Una rivoluzione, soprattutto in alcuni comparti del settore. 

«Si, alcuni comparti del settore devono ripensare completamente la loro organizzazione. Basti pensare al turismo delle città d’arte, alle aree di turismo che prima della pandemia si erano interessate al problema della massificazione, dell’over tourism. Questo tipo di protezione si presta bene e meglio a destinazioni turistiche naturalistiche, balneari e montane. È necessario, però, ragionare a 360° e creare offerte, probabilmente su numeri più ridotti, in grado di assicurare determinati standard nei diversi livelli di target. Per esempio, il nostro corso di laurea in Hospitality Management, ha stipulato con Federalberghi Campania una convenzione per un processo di safe hospitality in collaborazione con un incubatore di imprese, l’ecosistema beside, che assicura un turismo sicuro dall’arrivo alla partenza».  

 Questo sistema mette insieme anche i vari attori della filiera. 

«Un approccio sistemico, mai come in questo caso, è ancora più forte, più prestante. Questa è una bella occasione: siamo chiamati a mettere in pratica quello che normalmente viene definito, appunto, turismo sostenibile. Gli stimoli della competizione sono indubbiamente necessari, ma servono anche l’orchestrazione, la sinergia per mettere a profitto le singole competenze». 

Il settore turistico è stato a lungo ritenuto estremamente semplice, nella struttura e nelle dinamiche, ma gli avvenimenti e le evoluzioni recenti ne dimostrano, al contrario, la complessità e la specificità. A suo parere quali sono i fattori critici per le imprese e quali le competenze peculiari sia all’interno del comparto che nei diversi sub-comparti? 

«Questa è una criticità più italiana. L’Italia ha delle responsabilità enormi per due motivi: primo perché il settore contribuisce per oltre il 13% del PIL; secondo perché è un settore che ha delle specificità e una complessità notevole, a differenza del comparto manifatturiero in cui il prodotto si può toccare, testare e decidere se acquistarlo o meno, per il settore turistico è completamente diverso. Si è valutati nel momento in cui c’è l’erogazione del servizio e se lo standard non corrisponde alle aspettative della domanda che è sempre più esigente ed in- formata, sei fuori mercato, non ci sono vie di mezzo».  

 Il settore è difficile e articolato. 

«Però la competizione è molto corretta, solo che lo schema globale ha intensificato la concorrenza in maniera notevolissima che richiede altissima innovazione e le strade, a mio parere, sono: la digitalizzazione, da un lato, e la sostenibilità dall’altra. E questo significa nuovo impiego e nuove professionalità all’interno del settore. Il settore è complesso di per sé e, in questo caso specifico, dobbiamo metterci subito al lavoro. Come corso di laurea della Federico II, stiamo ragionando con i nostri partner sulle professionalità, soprattutto sui nuovi aspetti che queste competenze devono conoscere. Il turismo è un grande volano anche per le imprese che hanno produzioni di eccellenza: dall’agroalimentare alla moda. Come Made in Italy abbiamo davanti a noi delle sfide importantissime ma non possiamo, però, continuare solo a parlarne. Bisogna entrare nei fatti e capire che il turismo può essere anche un volano di valorizzazione delle produzioni importanti del nostro paese. Questo richiede preparazione, professionalità e visione strategica. Quando avremo questi tre elementi ci sarà qualcuno, e spero che arrivi, in grado di potenziare davvero il nostro settore».  

 Sembra che, a livello centrale, non ci sia ancora una chiara consapevolezza dell’importanza del settore. 

«Infatti, anche nel Recovery Plan non vedo un intervento sistematico nel settore con fondi precisi destinati a questo comparto. Nel piano di recupero c’è una polverizzazione degli interventi, il che, fa ulteriormente pensare, che ancora una volta sia stata sottovalutata l’effettiva possibilità e strategicità del settore. Su questo sono molto polemica. Abbiamo visto fondi a pioggia che non avevano alcun senso. Siamo il Paese che ha la maggiore dotazione e la più alta concentrazione di beni culturali al mondo e siamo ancora nella situazione di perdere quota di mercato anno dopo anno. Il turismo è un settore primario per la nostra economia».  

Diceva che questa è una caratteristica tutta italiana, all’estero cosa succede? 

«All’estero c’è una propensione a fare sistema e, soprattutto, le istituzioni supportano notevolmente il settore. Basta guardare l’organizzazione del turismo in Francia, Spagna, per non parlare di realtà come quella australiana: esistono situazioni in cui, secondo alcune formule miste, il pubblico ha diversi ruoli rispetto al privato, ma soprattutto un ruolo di supporto. In Italia abbiamo una situazione diversa per tutte le regioni italiane, non c’è una politica coordinata. Il problema è l’eccessiva polverizzazione a livello regionale: che senso ha parlare delle regioni se oltre oceano si parla a carattere nazionale». 

 Occorre creare un sistema efficace ed efficiente.  

«È necessario immaginare la sincronia tra competition e cooperation. Diversi studi hanno dimostrato che dove c’è un alto livello di competizione e di cooperazione, il livello di performance complessivo della destination è molto più alto. Ben venga quindi questo binomio per un motivo molto semplice: la competizione favorisce l’innovazione ma, occorre la logica sistemica, soprattutto in territori come i nostri caratterizzati da piccole e medie imprese. Se vogliamo essere competitivi, non bisogna proprio discutere se fare sistema o meno, va fatto e basta. Ho scritto il primo libro nel 2001 “Sistemi locali di offerta turistica”, l’anno dopo è uscita la legge sui sistemi turistici locali e oggi se ne discute ancora».  

di Daniela Rocca 

 

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