Il Pallagrello torna protagonista alla Reggia di Carditello
08 Novembre 2021
Quattro mila metri quadrati per produrre il vino preferito da Ferdinando I di Borbone. Note di agrumi, frutta esotica, melone e una spiccata sapidità: il vitigno reale Pallagrello è tutto da scoprire
Nell’antica Reggia di Carditello, voluta da Carlo di Borbone come riserva di caccia ed area destinata all’allevamento dei cavalli di razza reale e poi trasformata nel 1787 da Ferdinando IV in un’azienda agricola modello, rivivrà la produzione del Pallagrello.
Grazie alla collaborazione tecnica tra Vigne Chigi di Capua e la Fondazione Real Sito di Carditello, verrà vinificato e poi immesso sul mercato, anche internazionale, il vino un tempo prodotto nel sito borbonico.
Un’iniziativa molto ampia ed ambiziosa, volta alla valorizzazione del territorio nonché alla riscoperta di antichi vitigni tra cui, appunto, il Pallagrello bianco e nero.
Il nome di queste due varietà, un tempo comunemente chiamate “pallarella”, trae probabilmente origine dalla forma sferica degli acini. Tuttavia, in passato il Pallagrello bianco è stato erroneamente considerato semplice sinonimo della Coda di Volpe bianca e l’errore nasceva dal fatto che entrambi i vitigni hanno un grappolo molto simile. Questa similitudine morfologica ha messo a serio rischio la sopravvivenza del vitigno, tra l’altro coltivato in un ambito geografico molto più ristretto rispetto alla Coda di Volpe.
Per quanto riguarda invece la varietà a bacca scura, si pensa che essa sia riconducibile alla Vitisalopecis di origine greca descritta già da Plinio e poi inesorabilmente caduta in declino agli inizi del novecento, fino alla sua ricomparsa, alle soglia del nuovo millennio, per mano di uno sparuto ed ostinato gruppo di viticoltori della zona del Volturno.
L’intento della Fondazione Real Sito di Carditello e di Vigne Chigi è di restituire al Pallagrello l’importanza conquistata sulle tavole dei Borbone, come testimoniato dal giudizio di Ferdinando IV che soleva parlare di queste due varietà come le uniche due campane degne di figurare nella magnifica e famosa Vigna del Ventaglio di San Leucio di Caserta, un esteso vigneto a semicerchio con dieci raggi, destinati alle dieci varietà più prestigiose del Regno delle Due Sicilie.
L’operazione di recupero è stata possibile grazie all’assegnazione da parte della Regione Campania dell’area coltivabile alla Fondazione Real Sito di Carditello, suolo impiantato a vigneto da Vigne Chigi a partire da marzo 2021 al fine di confermare l’originaria vocazione di Fattoria Reale dopo decenni di abbandono, durante i quali furono portati via gran parte degli arredi e dei marmi che impreziosivano la tenuta borbonica.
Noi di Dodici Magazine abbiamo raggiunto telefonicamente l’Avv. Giuseppe Chillemi, titolare di Vigne Chigi, e con lui abbiamo guardato al presente e al futuro della vigna borbonica.
Giuseppe, cosa ha spinto Vigne Chigi ad intraprendere questa ambiziosa operazione di recupero?
«La mission generale di Vigne Chigi non è solo votata al recupero di un antico vitigno, ma è anche incentrata sulla possibilità di parlare del territorio. Poggiare lo sguardo su Carditello ha offerto l’opportunità di ampliare il contesto in cui rendere protagoniste la tradizione e la cultura enogastronomica del territorio».
Quali sono le tempistiche e gli obiettivi a lungo raggio in relazione alla vigna di Carditello?
«La prima raccolta è stimata tra quattro anni, sperando che il clima lo consenta dato che quest’anno abbiamo avuto un’estate caratterizzata dalla siccità. Riguardo gli obiettivi, innanzitutto fare del vino di qualità. Non ci poniamo solo finalità commerciali, l’intento è certamente di creare una realtà didattico-dimostrativa secondo il concetto di buona uva in una bella vigna».
di Aurora Rennella