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nale anche già fatti da altri. Intendo costruire le mie                   Composizione Sirena
opere come racconti in cui il supporto funge da palco-          Dove innesto le mie Ali, tecnica mista
scenico dove collocare i miei manufatti o "oggetti" in uno
spazio de nito (quadro) tenendo conto come un regista           Istallazione, Museo Arcos Benevento
della disposizione di questi in modo equilibrato e non
casuale". Racconta Leone che, come un moderno Socrate,
si cimenta nella sottile arte della maieutica. Non possiamo
ricordare tutto perché sarebbe in fondo come dimenticar
tutto. La memoria è una corda intrecciata da due li,
ricordo e oblio. Ciò signi ca che nell'in nito caos degli
eventi bisogna saper riconoscere quel qualcosa che vada
necessariamente ricordato per poi dimenticare tutto il
resto. Ecco: Giuseppe Leone se ne sta lì a osservare il usso
indistinto e caotico, come il bambino che guarda il ri esso
della luna sul fondo di un pozzo, per poi far riemergere
frammenti, piccoli pezzi di mitiche e lontane esistenze.
Leone non mette in scena semplicemente la memoria, ma
la memoria collettiva, quei grandi eventi storici che
potremmo de nire di "passaggio", da lui rivelati attraverso
il mezzo-arte piuttosto che la parola, così esplicita e
diretta, del giornale con cui, però, condivide il tema di
fondo, il terreno di partenza. "Oro, Petrolio e Alchimie",
volume che attraverso le voci di giornalisti, critici, addetti
ai lavori, raccoglie la produzione di Leone esplorata a 360
gradi, si presenta come opera capitale e rivelatrice. E non
solo per il suo carattere corale, ma anche, e soprattutto, in
quanto fornisce germogli capaci di fecondare vari livelli
dell'intellettualità, accendendo il dibattito, rivelandosi
con passione. L'esperienza milanese, quella sarda, quella
napoletana di Leone hanno sicuramente lasciato un
segno forte nel suo immaginario simbolico, ma non lo
hanno distratto, non hanno scal to quella che è la qualità
migliore del buon viaggiatore: saper sempre tornare a
casa. E casa per Leone sono le pietre di Buonalbergo, la
terra fertile del Sannio, i riti contadini, l'orizzonte basso
dove cielo e grano si incontrano. Quell'orizzonte non lo
trovi altrove. Come Ulisse anche Leone è tornato alla sua
Itaca e come Ulisse è tornato cambiato. Certi viaggi, certi
luoghi, a volte anche solo certi pensieri scavano addosso
segni profondissimi. Leone non se li è lasciati addosso,
quei segni, così come sono venuti, ma li ha re-immaginati
e reinventati sotto forma di mappa collettiva dell'espe-
rienza umana. Ecco il lascito di Giuseppe Leone, che grazie
alla cattedra all’Accademia partecipa concretamente alla
formazione di giovani pittori, scultori, gra ci d'arte. Il suo
mantra è "lavorare e lavorare ancora", ma con la consape-
volezza che l'arte ha le gambe corte quando dietro alla
manualità non vi è un forte senso poetico, una conoscen-
za profonda. Perché l'arte ha sì la capacità di illuminare,
ma come ogni luce proietta ombre profondissime. Leone
non ha paura di esplorarle e, tenendoci per mano, di farle
esplorare anche a noi perché lui è un narratore atipico, ma
noi con lui diventiamo atipici ascoltatori.

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