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"L’Inno di Papele", riscrittura melodica di TEATRO
"Disamisitade" proprio di De Andrè, un pezzo che
mi colpì molto per il titolo che in dialetto sardo vuol Cosa riserverà il 2014 a Federico Salvatore?
dire "disamicizia". Questa disamicizia la ritrovo Ho debuttato lo scorso dicembre al Teatro Cilea di
molto nel nostro Paese, soprattutto nel rapporto tra Napoli con lo spettacolo “Noi zitti sotto”, un titolo
Nord e Sud. molto particolare che la dice lunga sul periodo nero
che stiamo vivendo ma che vuole anche omaggiare la
Di cosa parla “l’Inno di Papele”? nostra ultima grande maschera, Massimo Troisi, con
Ho usato come pretesto i cori negli stadi, sintomo una citazione dal film “Non ci resta che piangere”.
evidente di un profondo sentimento razzista, per Sarò in tournée con questo spettacolo e in scena al
parlare di questa diatriba tra Nord e Sud. Al di là Teatro Augusteo con un musical, “Johnny Petillo
dell’antagonismo che deve esserci durante una missione impossibile”, scritto da Karima Angiolina
partita di calcio, oggi si va ben oltre. Il titolo richiama Campanelli, co-autrice anche di “Novecento
l’Inno di Mameli, forse l’unico italiano che credeva in Napoletano” di Bruno Garofalo. Con me sul palco
questa unità, che in questo caso diventa un inno un anche un carissimo collega, Lello Giulivo.
po’ separatista. Il mio obiettivo oggi è sensibilizzare
e provocare.
In queste stazioni infernali di Napoli c’è anche
una stazione della speranza?
Nel dna del napoletano oltre alla speranza c’è anche
una sorta di apatia. Vedo questo popolo diviso due.
Mi viene in mente Spaccanapoli, il decumano che
divide la città in due parti: proprio da qui sono nati
"Federico" e "Salvatore". Federico rappresenta
Napoli benestante, lui è inerme perché sta bene e
continua a vivere nella "strafottenza". Dall’altro lato
c’è la Napoli di Salvatore, quella dell’immobile attesa
che vive nella speranza. Un sentimento che ho ben
spiegato nella canzone "Vico strafuttenza".
Noi ci crogioliamo in questo vivere alla giornata,
in questa lunga attesa.
A breve ricorrerà l’anniversario della morte di
Giancarlo Bigazzi: come lo ricorda, dopo aver
collaborato per anni con lui?
C’è un grande dispiacere umano e artistico perché
con la sua morte abbiamo perso uno dei più grandi
autori della musica leggera italiana. Bigazzi era uno
dei quattro Squallor, il leit motiv della mia
adolescenza. Il primo Federico Salvatore nasce
ispirandosi proprio a loro. Nel 1995 Bigazzi mi
propose di produrre discograficamente i miei lavori e
con lui ho collaborato tre anni per tre dischi. "Azz"
live da Firenze, "Il Mago di Azz" e nel 1997 "Il
Coyote interrotto".
A proposito di "Azz", la rima ricompare in
questo disco.
È vero, nel brano "O’ Palazz", che si riferisce a
Montecitorio. Il galateo dello scugnizzo trasforma il
Pulcin’hell da bombarolo a "sputarolo". Dalle
brigate rosse del ‘79 alle brigate rozze del 2013 con
il disegno grottesco di inondare di sputi del popolo il
Palazzo del Potere.
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