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In queste due pagine,
quando poliziotti e
dipendenti del ministero
dell’Interno e della
questura hanno saputo
del passaggio del
feretro del prefetto
Manganelli a piazza
del Viminale, sono usciti
spontaneamente
a redere omaggio
e ad accompagnare
con un lungo applauso
il loro Capo.
Sotto, il presidente
Napolitano alla camera
ardente del prefetto
Manganelli, allestita
nella Scuola superiore
di polizia.
In tanti hanno scritto del Capo cose bellissime e vere. A me, nel riempire que-
sto foglio bianco, che mi sembra il simbolo del vuoto che ha lasciato in tutti noi,
continua a tornarmi alla mente una delle tante giornate insieme a lui.
Aveva appena tenuto una riunione operativa. Aveva ascoltato tutti. Poi
aveva parlato Lui. Riuscendo a cogliere
il meglio di ognuno. Intorno aveva poli- Oggi il termine Capo risuona
ziotti, carabinieri, finanzieri. Uniformi
diverse per colore ma con dentro donne nelle nostre menti, nei nostri cuori
e uomini con lo stesso DNA. C’era un come una parola che sa di forza,
clima di quelli che ti entrano dentro. Ci di coraggio, di generosità
sentivamo uniti. Forti. Sereni. La forza
e la serenità che ti dà solo la consape-
volezza di agire per qualcosa di impor-
tante come il bene di tutti.
Uscendo mi disse: «Ci hai mai pen-
sato? Quando una persona parla del
proprio lavoro, di solito, dice quello che
fa. Per noi si dice: è un poliziotto, è un
carabiniere, è uno sbirro. Il nostro lavo-
ro è anche il nostro modo di essere». È
in quelle parole che ho capito. Che ho
capito quando un uomo, una persona
incarna (nel senso letterale del termine)
l’Istituzione che rappresenta.
Ci sono frasi che si fermano nella
aprile POLIZIAMODERNA
MAGGIO/GIUGNO 2013 67