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arte

IL KITSCH E IL MITO
DEL PROGRESSO

(L’occasione mancata)

di Emiliana Avellino

Ci sono le statuine in gesso e i nani da giardino; ci         vede futuro. Nel Meridione tutto sembra uguale a
     sono i santini e le cartoline ai banchi di souvenir: il  cent’anni fa o almeno lo era, perché a un certo punto
kitsch nell’immaginario collettivo rimane un conteni-         qualcosa è successo. È il 23 novembre del 1980 e la
tore di cattivo gusto, una nota stonata, quel neo che         terra trema, inghiotte case e strade e persone. Paesi
identifica il bello o quell’imperfezione che al bello         come Sant’Angelo dei Lombardi, Laviano, Lioni scom-
qualcosa toglie. Seppur oggi termine assai diffuso,           paiono sotto le macerie. Si potrebbe dire tanto sul si-
spesso è difficile decifrarne i contenuti, in quanto nel      sma dell’Irpinia e, in effetti, tanto si è detto, si è parlato
kitsch siamo immersi fino al collo, tanto da non riuscir      del ritardo degli aiuti, dell’incapacità dello Stato di ar-
più a distinguere il buon gusto dal suo contrario. La         ginare la tragedia, degli sperperi finanziari, dei corpi
soubrette che ci fa l’occhiolino dallo schermo della tv,      dei non morti che aspettavano sotto le case crollate
le suonerie polifoniche dei telefonini da cui non riu-        che qualcuno andasse lì a disseppellirli. Ma queste
sciamo a staccare lo sguardo nemmeno per un mo-               son cose note. Quello che spesso si tace è che nel ter-
mento, i politici che, con i loro continuo bla bla bla ,      remoto non sono stati solo politici e costruttori senza
sempre l’uno contro l’altro, con ognuno le proprie so-        ritegno a vederci una possibilità, un’occasione, seppur
luzioni, sono sempre presenti nelle nostre case, sino         terribile, ma lo stesso colpito cittadino. La scossa si era
alla nausea, alimentando l’anti politica. Noi italiani con    portata via il vecchio, facendo spazio al nuovo. I vicoli
il cattivo gusto sembriamo quasi averci cucito il trico-      degli antichi borghi tutti arroccati sulle colline non
lore, eppure il kitsch non nasce come elemento neces-         avrebbero potuto ospitare le colate di lucido asfalto,
sariamente negativo, ma anzi va inteso come tentati-          le strade ampie, nuovi scintillanti edifici. Con il sisma
vo, seppur fallito sul nascere, di contenere il bello, di     erano arrivati i soldi, gli aiuti economici e finalmente,
giungere alla perfezione. È in questo slancio mancato         anche per il Sud ritardatario, era arrivata la modernità.
che poi tende a distorcersi, porgendoci un riflesso che       Delle Chiese crollate era rimasto poco da salvare, ma
a volte ha del mostruoso, a volte del commovente. E           anche lì dove un recupero fosse stato possibile si è
allora va salvata nell’elemento kitsch quella spinta          ben pensato di ricostruire da capo salvando al massi-
nella proposizione dell’opera che però o eccede o di-         mo un portale o un altare in marmo. Ed ecco, allora,
fetta in qualcosa: è un’opera incompleta, monca. An-          che iniziano a spuntare per l’Irpinia e il Fortore le
gela Cerritello, laureata l’Accademia di Belle Arti di        “Chiese Astronave”, gigantesche strutture in cemento
Napoli, ha portato avanti come elaborato di tesi spe-
cialistica una discussione accorata e critica sui limiti e
le possibilità dell’oggetto kitsch. Originaria di San
Marco dei Cavoti (BN) ha analizzato i mutamenti che,
nel Sannio, chiese e monumenti ecclesiastici hanno
subito nel corso degli anni con il sopraggiungere del
concetto di modernità. L’Italia, lo sappiamo, si porta
sulle spalle una profonda crepa, una spaccatura: da
una parte il Nord delle imprese, dell’editoria e della
Milano da bere; dall’altra il Sud della povertà, della mi-
seria, di un Mezzogiorno che si guarda in faccia e non

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