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ITINERARI
Vincenzo Tavarone
Premio internazionale allo chef
discepolo di Escoffier
Entrando all’Hosteria il Pescacciatore, ad Aquilonia, può “Salti chi può, disse la rana”
capitare di attendere qualche minuto il padrone di casa, lo
chef Vincenzo Tavarone, e soffermarsi a osservare foto che
lo ritraggono in appuntamenti culinari internazionali (alla
corte di Fidel Castro e di Papa Wojtyla, per esempio).
Quando si presenterà, si scuserà per la breve attesa, mentre
se la ride sotto i folti baffi: era a telefono con Nizza, dove
nelle prossime settimane ritirerà il prestigioso premio intito-
lato allo chef Georges Auguste Escoffier, dopo le decine di
riconoscimenti già ricevuti negli anni. Escoffier predicava
l’arte della semplicità in cucina, per valorizzare il sapore
autentico delle pietanze e il loro valore nutritivo.
Tavarone è di fatto un suo discepolo da quando ha iniziato
a darsi all’arte culinaria (a.d. 1968), rifuggendo sempre e
ovunque mode effimere e trovate a effetto. Sia nel suo
ristorante che attraverso l’Associazione Enogastronomica
Alta Irpinia di cui è Presidente, ha quattro ingredienti
irrinunciabili nella sua cucina: trasparenza, genuinità,
stagionalità e tipicità. Ne consegue che al Pescacciatore
nulla è di origine industriale, ogni materia prima, ogni
condimento, è ricercato tra i migliori che offre l’Irpinia in
quel periodo dell’anno.
Per quanto sia ricca e tipizzata anche la proposta di piatti di
mare (l’orata, per dire, è cucinata con il Greco di Tufo),
è sui frutti della terra e sulla selvaggina che viene naturale
soffermarsi. Si legga dal menù: daino alla finanziera (con i
fegatini, condito con olio d’oliva di ravece), o ravioli al sugo
di lepre, cavatelli al cinghiale, fagianella all’aglianico irpino,
o, ancora, il cinghialetto alla bracconiera. Si scopra che negli
antipasti son serviti certi nervetti di cotenna, sgrassati e
ribolliti quattro volte, dal sapore delicato e antico.
A consigliare il miglior vino da abbinare sarà lo stesso
Tavarone, che non rinuncia a presentarsi in sala per
accogliere personalmente i clienti. Tra i dolci spicca
la sfogliata di mele campestri, il digestivo della casa
è "L’amaro della beccaccia", da provare.
E non mancano novità. "Stiamo riscoprendo un nuovo
filone", racconta Tavarone. "Per ora lo abbiamo ironica-
mente battezzato "né carne, né pesce". Parlo di lumache
e di rane, di cui questo territorio pure è ricco.
Le lumache, per esempio, le prepariamo sgusciate
o al ragù per condire le trofie. Le rane danno
il meglio in guazzetto, fritte o spadellate, con i cavatelli".
Squilla nuovamente il telefono, lo chef si scusa: dovrebbe
essere per l’Expo di Milano del 2015: "Stiamo chiudendo
un accordo, l’anno prossimo portiamo lì i nostri piatti e i
nostri prodotti tipici", spiega.
E, sorridendo, aggiunge "Salti chi può, disse la rana".
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